Valle Camonica: niente diritti per le famiglie arcobaleno

«Mamma non biologica, mamma sociale, di cuore, ognuno dice come vuole. Ma ad oggi, io non sono una mamma». Marta (nome di fantasia, residenza in un comune della Valle Camonica), secondo lo Stato non è niente per le sue bambine, Emma e Vera.
Nei loro confronti non ha né diritti né doveri. Per andare a prenderle a scuola ha bisogno della delega, esattamente come la vicina di casa. Non può portarle dal pediatra, o stare loro accanto in ospedale. Non può andare a fare un weekend al mare senza la compagna Elena, perché se dovesse avere un incidente Elena rischierebbe di essere accusata di abbandono di minore. Non può prendere nessuna decisione. Se Elena un domani volesse divorziare, potrebbe portare via le bambine e non fargliele vedere più. Se fosse lei a lasciarla, potrebbe sparire senza avere nessun obbligo di mantenimento. Se ad Elena succedesse qualcosa, le bambine verrebbero considerate orfane e andrebbero in affido.
«Si vive nel costante terrore» commenta, la voce stanca, provata dalle ingiustizie che la circondano. «La mia rabbia viene dal fatto che per attaccare noi adulti stanno togliendo dei diritti ai bambini. E questo non è giusto».
Le sue figlie - perché qualsiasi cosa dicano i sindaci, il governo o le carte, Marta è a tutti gli effetti la mamma di Emma e Vera - non sono registrate all’anagrafe. Sette anni fa, poco prima che nascesse la maggiore, avevano fatto domanda al sindaco, allora in campagna elettorale. «Ci aveva assicurato che l’avrebbe registrata ma, al momento di farlo, ci aveva chiesto due righe dal tribunale, veniva meno il senso». I diritti diventano così propaganda, merce di scambio sulla pelle dei bambini.
Marta spiega che le vie per il riconoscimento sono tre
Da una parte la registrazione all’anagrafe, «quando il sindaco è d’accordo», dall’altra il percorso in tribunale, con l’accertamento da parte dei servizi sociali della condizione dei bambini e del parere di tutti i familiari. «I parenti di mia moglie sono evangelici, non potremmo mai ottenere nulla perché sono contrari» continua raccontando come, nel caso in cui il riconoscimento andasse a buon fine, le carte conterrebbero una clausola per rassicurare i parenti: questi bambini non rientrano nell’asse ereditario. Il parentado conservatore può tirare un sospiro di sollievo: il patrimonio non si macchierà.
C’è poi una terza modalità, più snella, in cui la richiesta viene presentata al tribunale dei minori ma non c’è bisogno dell’avvocato. «Praticamente è l’adozione del figlio del partner. Anche in questo caso verranno le assistenti sociali a chiedere alla bambina se si trova bene con noi. È assurdo, non siamo delinquenti». Inoltre, è sempre tutto a discrezione del giudice o dell’assistente sociale che si trova: se qualcuno è omofobo, salta tutto. Quest’ultima strada è quella che Marta ed Elena stanno battendo in questi giorni, «ma con quello che sta succedendo al governo, tutto può essere messo in discussione».
Certo, la cosa più facile sarebbe stata la registrazione all’anagrafe, quella che al giorno d’oggi fanno solo i sindaci “coraggiosi”, che hanno veramente a cuore il benessere delle famiglie e, in primis, dei più piccoli. Dopo il voltafaccia del neo primo cittadino, le due si trasferiscono «in quello che mi era stato detto essere un comune aperto». Ma la registrazione non arriva. Il sindaco spiega che registrarle, ad oggi, significa compiere un illecito legislativo. Questo comporta il diritto-dovere del Tar di impugnare l’atto, invalidandolo, con conseguente procedimento nei confronti di chi l’ha redatto. Un comune piccolo come quelli che compongono la Valle, non ha una struttura giuridica alle spalle a cui appoggiarsi in questi casi, struttura che fa sentire più sicuri i sindaci cittadini, che possono permettersi di rischiare. A prevalere è, quindi, la tutela del comune. Manca una rete tra le istituzioni, un tappeto di salvataggio che tuteli tutti, bambini, famiglie e sindaci.
Cosa comporti la mancata registrazione, Marta lo fa capire bene: «Nel primo lockdown eravamo entrambe positive e spaventate perché se Elena fosse finita in ospedale, le nostre bambine avrebbero potuto essere affidate a un’altra famiglia. Se fosse morta, sarebbero state adottabili. Anche lì avevamo chiesto al sindaco di aiutarci, ci aveva risposto “poi vediamo”».
Verrebbe da chiedersi quale sia il problema per il governo che agisce per sottrazione, togliendo ai bambini il diritto di avere una famiglia. E lo fa nel modo più subdolo, tramite un documento inviato alle prefetture che vieta loro di considerare valida la trascrizione all’anagrafe. Un provvedimento che passa in sordina, perché chi toglie i diritti non lo fa quasi mai a gran voce, scendendo nelle piazze come invece fa chi li reclama. Il governo si è riempito la bocca di belle frasi a sostegno delle famiglie tradizionali, non rendendosi conto che queste non esistono più e che è anacronistico e fuori luogo pensare di distinguere ciò che è “normale” – ovvero il nucleo padre-madre-figli – da ciò che è “altro”. Si parla spesso di “famiglie arcobaleno”, ma serve davvero questa precisazione? Perché non possono essere considerate famiglie e basta, alla stregua di tutte le altre? E Perché Emma e Vera non hanno diritto a due genitori - di questo si sta parlando, non di mamme e papà - ? Perché sono bambine di serie B? E, non da ultimo, quale sia il problema della politica che sbandiera l’attenzione per il benessere e il superiore interesse dei bambini ma poi agisce non curandosi delle conseguenze. Dov’è, qui, il superiore interesse di Emma e Vera se da un momento all’altro in caso di disgrazia potrebbero essere adottabili, solo perché “l’altra mamma” non viene riconosciuta? «Non possiamo mai vivere tranquille, c’è sempre il pensiero. E la paura di perderle».

Maria Ducoli 

Immagine: foto in HD di Maple Ridge, Canada di James Wheeler