Tragedia di Ono San Pietro, Patti: «Ho paura che il mio ex marito ritorni»

Quella sensazione che porta a voltarsi per guardare se c’è qualcuno alle spalle, che fa chiudere le persiane più velocemente, mentre il buio scende. Quella sensazione di paura, di voragine che si apre, di mondo che può crollare da un momento all’altro: la stessa che Erica Patti aveva più e più volte denunciato per anni, senza mai essere ascoltata dalle forze dell’ordine e dalle autorità, è tornata. È arrivata tutta insieme, come una nausea che senti crescere dentro, un senso di vertigine che ti disorienta. È arrivata nel momento stesso in cui ha saputo che il suo ex marito Pasquale Iacovone - condannato all’ergastolo nel carcere milanese di Opera per aver ucciso i figli Andrea e Davide di 12 e 9 anni, poi carbonizzati nel rogo da lui appiccato -  potrà beneficiare dei permessi premio, avendo scontato già dieci anni di pena.

«Saperlo mi ha scosso, mi ha messo ansia perché sono sicura che verrebbe qua, non si è mai pentito di quello che ha fatto», dice con sicurezza Patti. Qua, sta per Ono San Pietro, con i suoi 13 chilometri scarsi di superficie e 960 residenti. Troppo pochi per non incontrarsi, per non trovarsi. «Il suo scopo era distruggermi, sapere che non ci è riuscito, che sono andata avanti, gli darà fastidio», aggiunge. 

Glielo ripeteva sempre, Iacovone: «Me la prenderò con i tuoi bambini», «Tu i tuoi bambini li vedrai solo sulla foto di una lapide», «Vivo solo per vendicarmi. A febbraio ci sarà il divorzio e anche il funerale». Tutte frasi che Erica Patti, nel 2022, ha riportato nel suo libro Col senno di poi, in cui ha raccontato gli anni di stalking e violenze, di denunce cadute nel vuoto, di minacce che poi si sarebbero concretizzate nella tragedia del 16 luglio 2013, quando Iacovone non le riporta i bambini dopo due settimane al mare - vacanza a cui lei si era opposta, perché prima di partire lui l’aveva detto: «Me li porto al mare per quindici giorni e tu non li rivedrai mai più: li ammazzo», ma la legge nemmeno quella volta era stata dalla sua parte -, li soffoca e dà fuoco alla stanza. Anche Iacovone rimase ustionato nell’incendio, ma secondo la ricostruzione degli inquirenti, fatta propria dalla Cassazione, avrebbe agito per simulare il suicidio. 

«Come avevo la sensazione che avrebbe fatto del male ai miei bambini, l’ho anche ora, davanti ai permessi premio. Proprio come allora, sono preoccupata per tutta la mia famiglia, per mio figlio, i miei genitori. E so che tutti, anche se magari non ne parliamo ad alta voce, abbiamo la stessa paura che esca e torni a farci del male. Cerco di non limitarmi la vita, ma non sono tranquilla».

Non può esserlo perché, ancora una volta, la legge non è dalla sua parte e lei lo dice apertamente: non si sente né tutelata, né protetta. «Non vedo come non si sia potuto pensare alle vittime, alle persone offese, quando ci sono mille esempi in Italia di condannati che escono dal carcere con i permessi premio e compiono lo stesso reato», si sfoga. Per Patti, il paradosso è che in nome del diritto alla privacy di Iacovone, lei non può sapere se e quando gli viene data la possibilità di uscire dal carcere. 

«Non c’è un braccialetto elettronico o un divieto di avvicinamento, per quanto sappiamo che quest’ultimo lasci il tempo che trova. Non c’è niente e io, non essendo avvertita, non posso nemmeno tutelarmi da sola». Da mesi è bloccata in Parlamento una proposta di legge che potrebbe introdurre il diritto per le persone offese di essere messe a conoscenza di eventuali permessi da parte del loro stalker. «È tutto fermo», precisa, «essendo una delle cose che interessa di meno, viene lasciata per ultima. A discapito di noi donne».

Il plurale è d’obbligo, perché Erica Patti ha convertito il proprio dolore in una battaglia contro la violenza di genere, fondando insieme al fratello Omar l’associazione Dieci, come il numero di denunce per stalking a carico di Iacovone, mai realmente considerate. Erica non si è mai fermata: ha sempre fatto sentire la propria voce per dare, di rimando, voce anche a tutte le altre donne che la giustizia non ha voluto sentire, davanti alle quali ancora troppe autorità, troppi esponenti delle forze dell’ordine scuotono  la testa e, come nel suo caso, liquidano la faccenda con un «Signora, Iacovone tanto fumo e niente arrosto». Erica non si è mai fermata e non si fermerà, nemmeno stavolta: affinché altri bambini non vivano quello che hanno vissuto i suoi.  

Maria Ducoli