Ma chi ce lo fa fare se protestiamo e voi ci fate male. Diritto al dissenso nella torre d’avorio.

Gli studenti protestano e la polizia interviene con la forza. È successo a Roma, all’Università La Sapienza, ma avrebbe potuto succedere dappertutto. Esercitare il proprio diritto al dissenso è sempre più complesso. Ai diritti si reagisce con la violenza e questa situazione non è di certo nuova. Anche nei mesi scorsi le proteste degli studenti medi rispetto al PCTO sono state represse con la forza, la bocca ai giovani tappata a colpi di manganellate. 
“Ma che senso ha protestare, mettersi le persone contro, sprecare tanta energia. Tanto poi non cambia mai nulla”. Ho perso il conto delle volte in cui mi sono state dette frasi del genere, aumentate a dismisura da quando ormai due anni fa sono diventata rappresentante degli studenti nel mio dipartimento in università. Due anni costellati da dissenso, polemiche, ma anche conquiste, vittorie. E ad un certo punto si, te lo chiedi quel “ma chi me lo fa fare”, lo chiedi ad alta voce a quelle persone che hanno protestato con te, che per mesi hanno lavorato gratuitamente per essere il cambiamento, per rendere l’Università un posto migliore. Ve lo chiedete tutti, quando l’impegno viene ripagato con aggressività, quando i professoroni vi dicono che forse se la decisione X è passata è colpa vostra che non siete poi tanto bravi, quando chiedete dialogo e trovate muri, quando segnalate problemi gravi e vi rispondono chiedendo di sponsorizzare sui social concorsi canori. Chi ce lo fa fare se le nostre proteste non portano a niente, se quando abbiamo ragione e ciò che diciamo è incontestabile e allora contestate noi come persone
Eppure, sono solo momenti. Perché abbiamo 20 anni e se c’è una cosa che abbiamo imparato delle repressioni è che non possono reprimere i nostri ideali, la nostra energia che anche quando siamo stanchi e disillusi non si spegne. Davanti ad un sistema che ci vuole costantemente silenziare, abbiamo imparato a farci sentire. E se le mail non servono, prendiamo un megafono. Perché protestare, se la polizia reprime. Perché i diritti devono essere rivendicati, sempre. Che senso ha mettersi contro le persone? Mi hanno chiesto di recente. Non è un mettersi contro nessuno, è un chiedere rispetto per noi stessi, in quanto persone e in quanto studenti. Per questo si sta scendendo in piazza, per chiedere una scuola e un’università in cui a contare è soprattutto il capitale umano, e non solo quello finanziario. Un posto in cui la didattica è inclusiva e in aula entrano anche argomenti fino ad oggi relegati all’esterno. Chiediamo atenei in cui l’unica cosa che conti non sia scalare i ranking e gli studenti non siano percepiti solo come tasse che entrano nelle casse dell’Università-azienda. 
Ogni volta che proviamo a dirlo, c’è una repressione. Con i manganelli, interventi troppo accesi o mail troppo aggressive che ci fanno vacillare. Tutti comportamenti riprovevoli, ma, al tempo stesso, che lasciano ben sperare: significa che stiamo facendo bene. Significa che hanno paura della nostra tenacia, dei nostri ideali, dei principi che ci muovono. E alla fine, anche quando non sembra, ne vale sempre la pena. 

Maria Ducoli