La lotta di una è la lotta di tutte. Dalla parte delle donne iraniane

“Non sono libera finchè tutte le donne non sono libere” diceva la poeta americana Audre Lorde. Oggi non siamo ancora libere. Oggi il nostro genere segna ancora la nostra condanna a morte. Una morte brutale, di colpi in faccia e sprangate sulla schiena. Ma anche uno stillicidio. Un morire lento e silenzioso, l’ultimo lamento censurato, oscurato, inascoltato. Mahsa Amini è stata picchiata e uccisa in Iran perché portava male il velo. Aveva 22 anni e la polizia morale l’ha colpita senza pietà. Dal giorno della sua morte, lo scorso 16 settembre, le donne di tutto il mondo sono scese in piazza. A capo scoperto. Sui social sono comparsi video in cui volti più o meno noti si tagliano una ciocca di capelli in solidarietà alle iraniane. I post sulla questione femminile in Iran si sono triplicati. I social, tanto demonizzati da chi non ha ancora capito il loro uso, ci hanno permesso di essere lì, nelle strade del Medio Oriente e in quelle di tutto il mondo. La piazza virtuale ha permesso di abbattere il privilegio e di favorire l’accesso al dibattito a tutte e tutti.

Due giorni fa un’Ansa fa sapere che Mahsa Amini è morta per un tumore, non per le percosse. Come se questo cambiasse le cose. Come se la ragazza non fosse stata fermata dalla polizia morale per come indossava il velo e in un secondo momento picchiata. Come se l’oppressione femminile non fosse ancora una costante in tutto il mondo.
In Kurdistan l’attivista Nagihan Akarsel è stata uccisa in un agguato. Era una giornalista e un’accademica che lavorava sulle questioni di genere.
Non siamo libere finché tutte non sono libere. Non siamo libere finchè non potremo esprimerci, fare il nostro lavoro, uscire di casa come vogliamo, senza temere che un velo “messo male” o una gonna “troppo corta” ci trasformino nell’ennesimo caso di cronaca.
Le proteste curde dimostrano come le donne abbiano capito che il loro silenzio non le avrebbe salvate.
Come scriveva Lorde, “con quest’arma, questa illusione di poter essere al sicuro, quelli dai piedi pesanti pensavano di zittirci. Per tutte noi questo istante e questo trionfo, non era previsto che noi sopravvivessimo”.

Maria Ducoli