Col senno di poi. Nove anni dopo la tragedia di Ono San Pietro

Da Graffiti, luglio-agosto 2022

Uno stillicidio. Un gocciolare perpetuo, come un rubinetto che perde. Una violenza continua, una morte lenta, giorno dopo giorno, quella delle donne non ascoltate, non credute mai fino in fondo, abbandonate dalle autorità. Uno stillicidio, quello che Erica Patti ha vissuto per anni a causa dell’ex marito Pasquale Iacovone e che ha raccontato nel libro Col senno di poi. Frase che la Patti si sente dire quando chiede spiegazioni alle assistenti sociali: perché, quel giorno di luglio, non si sono alzate per andare a vedere dove fossero Andrea e Davide? Perché non l’hanno presa sul serio quando le aveva chiamate terrorizzata, dicendo che l’ex marito non le aveva ancora riportato a casa i bambini? «Col senno di poi, signora». Per colpa del senno di poi, Andrea e Davide non ci sono più. 
Era il 16 luglio, erano appena stati al mare con il papà che, per legge, aveva diritto a tenerli con sé quindici giorni. Non importavano le denunce accumulate per stalking e ogni genere di minaccia, non importava il provvedimento di allontanamento, la richiesta di toglierli la potestà genitoriale: Iacovone ha potuto portare i suoi bambini in vacanza. E quando l’orario previsto per il rientro non viene rispettato, si accendono mille campanelli d’allarme. 
«Me li porto al mare per quindici giorni e tu non li rivedrai mai più: li ammazzo» aveva minacciato l’uomo prima di partire. Anche quella volta non era abbastanza, Erica Patti sporge denuncia ma nessuno fa niente. Andrea e Davide possono partire. Non torneranno tra le braccia della propria madre, dai nonni che quel giorno li aspettavano per andare in montagna. 
Nella casa di Iacovone scoppia un incendio, quando alla Patti squilla il telefono capisce. Vede la camionetta dei vigili del fuoco e capisce che il peggio è successo, che le minacce dell’ex marito sono diventate realtà. 
Le fiamme divampano nella casa di Iacovone, lui viene portato all’ospedale di Padova, loro in obitorio. I referti dell’autopsia parlano chiaro: Andrea e Davide sono stati soffocati e subito dopo carbonizzati. C’era dappertutto un forte odore di benzina, ammettono i soccorritori. Avevano 9 e 12 anni. 

Un sistema che non protegge le donne e i loro bambini.
«L’ho detto a tutti che me li avrebbe uccisi» commenta la donna davanti alla casa che ha inghiottito i suoi bambini. L’aveva detto, infatti. Sei denunce non sono bastate perché nessuno presta attenzione alle parole delle donne. Nella prima annotazione dell’ASST di Valle Camonica, in seguito all’ordinanza di divieto di avvicinamento si parla di “dare sostegno alla signora nella gestione della conflittualità di coppia”. Il linguaggio burocratico riflette il problema della nostra società, che non fa distinzione tra vittima e carnefice. Nell’annotazione viene citato il reato di stalking, ma alla fine si parla sempre di conflittualità di coppia. La Patti va sostenuta, ma si specifica che la questione riguarda entrambi. 
Davanti alle preoccupazioni della donna, davanti all’ennesima denuncia, al racconto dettagliato delle persecuzioni, degli insulti e delle minacce di morte gridate davanti ai bambini, un carabiniere le aveva risposto «signora, Iacovone tanto fumo e niente arrosto». Peccato che, poi, l’uomo abbia fatto entrambi.
Che peso hanno le parole delle donne? Quanto vale la loro paura? Cos’è la denuncia di una donna per il nostro sistema giudiziario? 
Quasi ogni giorno giornali e telegiornali ci avvisano dell’ennesimo femminicidio. Il più delle volte, le vittime avevano denunciato. Avevano cercato di far sentire la loro voce, il loro terrore, ma la giustizia è sorda e appartenere al genere “sbagliato”, quello meno credibile, significa morire più facilmente. In ogni modo si cerca di invitare le donne a denunciare le situazioni di violenza, intorno al 25 novembre spot istituzionali interrompono le trasmissioni sulle reti nazionali per ricordare l’importanza del rivolgersi alle autorità. Non basta, se dall’altra parte non vengono prese sul serio.
L’avvocato di Erica Patti aveva comunicato al PM che i carabinieri sembravano aspettare che succedesse qualcosa di irreparabile. Era tutto scritto, le forze dell’ordine avevano in mano le minacce dell’uomo, quel «me la prenderò con i tuoi bambini» che aveva ripetuto tanto spesso. Non è sufficiente, non basta a far intervenire le forze dell’ordine, e questo fa vacillare le donne, facendole dubitare del pericolo che percepiscono.
«Arrivi a pensare di essere esagerata, di non essere in grado di valutare correttamente e quindi di non sapere bene come comportarti». 
Eppure, la situazione era inequivocabile.

I segnali
La relazione tra Patti e Iacovone non è stata semplice e tantomeno serena. Il vizio del gioco finito in un conto in rosso. Le scenate finite negli insulti, nei calciagli oggetti. «Non tirava sberle, non dava pugni, solo a tavoli e porte. Ti prendeva per il collo e ti sbatteva contro il muro. Così faceva».
Una sera del 2006, lei gli chiede la separazione. Lui le preme un cuscino sul viso. «Da allora ho cominciato ad avere paura per davvero». Si separano nel 2010, Iacovone non lo accetta. «Tu i tuoi bambini li vedrai solo sulla foto di una lapide» minaccia. Poi arriva il passaggio successivo e la minaccia correlata. «Vivo solo per vendicarmi. A febbraio ci sarà il divorzio e anche il funerale». Avrebbe voluto ucciderla. Non tollerava la fine del matrimonio, la nuova relazione della ex moglie. Per Erica Patti l’inferno si infittisce. Lo stalking, le ronde in macchina sotto casa, i tentativi di investirla o di farla andare fuori strada, quella volta che aveva provato a strangolarla. E Davide e Andrea sono sempre lì, in mezzo alla violenza. Respirano paura. Avrebbero bisogno di un supporto psicologico, ma per legge è necessario il consenso di entrambi i genitori. Ancora una volta, la parola di una donna, di una madre, non è sufficiente. Quanto vale il benessere psico-fisico di un bambino? Quanto conta per le istituzioni la sua vita?

Maria Ducoli