La centrale brucia legna, ma l’aria è migliore

Da Graffiti, n. 310 (dicembre 2021)

La centrale del teleriscaldamento di Ponte di Legno - Temù

 La «biomassa», ovvero i combustibili derivati dalla legna, rappresentano uno dei principali combustibili da riscaldamento per i piccoli comuni delle Alpi, arrivando a coprire fino al 90% della domanda di calore.
È una fonte considerata rinnovabile (gli alberi ricrescono), e quindi promossa dall’Unione Europea e dalle leggi nazionali
Come abbiamo spesso raccontato su Graffiti, però, bruciare legna comporta diversi problemi: «aspetti critici legati alle emissioni di particolato atmosferico (PM), idrocarburi policiclici aromatici (IPA) e composti organici volatili (VOC)» (Università Cattolica del Sacro Cuore).
Le tecnologie utilizzate non sono in questo senso neutrali: una stufa a legna tradizionale di pessima qualità e una stufa a pellet di ultima generazione hanno impatti molto diversi sulla qualità dell’aria.

Un progetto europeo
Per «trovare una soluzione comune» a livello europeo «per le missioni di particolato atmosferico… la sfida territoriale più alta» è proprio quella dei «sistemi di combustione di biomassa domestici presenti nelle Alpi».
Queste sono le premesse di BB CLEAN (Biomass Burning Clean – «Combustione della biomassa pulita»), un progetto europeo da € 1.665.715,00, partito nel 2018 e conclusosi nell’aprile 2021, che ha coinvolto istituti di ricerca, università, enti territoriali, agenzie di protezione ambientale lungo tutto l’arco alpino, tra Italia, Francia, Slovenia e Austria.
Per l’Italia, tra gli altri, ha partecipato anche l’Università Cattolica del Sacro Cuore, tramite la sua sede di Brescia, con uno studio (Maria Chiesa et al.) che ha coinvolto direttamente il territorio dell’Alta Valle Camonica.
La qualità dell’aria nella zona di Vezza d’Oglio è stata confrontata con quella dell’area circostante a Storo (TN) e a Saint Marcel (AO), analizzando prima di tutto le modalità con cui viene coperta la domanda di riscaldamento domestico – per Vezza d’Oglio il GPL rappresenta il 59% del combustibile, la legna e il pellet il 38% - e la composizione degli apparecchi a biomassa per la produzione del calore – per Vezza, più del 70% è composto da «caminetti e stufe tradizionali», circa il 20% da «stufe a pellet automatiche», e meno del 10% da «caldaie e stufe innovative».

I partner del progetto BB Clean

 


Scenari
Il progetto poi valutava alcuni scenari, per verificare quali politiche potrebbero essere più efficaci nel ridurre l’impatto ambientale dei riscaldamenti domestici, come ad esempio la sostituzione delle stufe tradizionali con apparecchi di ultima generazione (-60% nella concentrazione di PM10) o con stufe a pellet con dotate di un precipitatore elettrostatico per l’abbattimento del particolato, ESP (-85%), oppure l’introduzione di buone pratiche (sull’uso della stufa e della pulizia, -25%), il passaggio dalla biomassa ad una produzione di calore interamente fondata sul metano (-69%, ma +47% di CO2) e l’estensione al paese della rete di teleriscaldamento già attiva a Ponte di Legno-Temù (-60%).
Come evidenziano gli stessi ricercatori dell’Università Cattolica, «Nei territori in cui sia verificata la sostenibilità economica e ambientale della costruzione di una centrale a biomassa dotata di una rete di teleriscaldamento, ai benefici in termini di miglioramento della qualità dell’aria si aggiungerebbero le emissioni evitate di CO2».
I ricercatori aggiungono però alcuni rilievi critici, in particolare «la inattuale sostenibilità dell’utilizzo del pellet in Italia (ad oggi importato da altri Paesi), oltre alla necessità di promuovere e facilitare l’accesso agli incentivi per la sostituzione degli apparecchi domestici per evitare che i fondi già a disposizione per questi interventi a livello nazionale rimangano inutilizzati».


Riduzione delle polveri sottili  (PM10) a Vezza d'Oglio nell'ipotesi di un ampliamento della rete di teleriscaldamento (aielenergia.it)

Una centrale sostenibile
Insomma, la scelta di costruire la centrale di teleriscaldamento nei due centri più settentrionali dell’Alta Valle, gestita dalla Società per lo Sviluppo dell’Alta Valle (SOSVAV) viene promossa in termini ambientali. Se a questo si aggiunge il fatto che in questi mesi la centrale sta bruciando ancora legna locale, ottenuta dalle piante cadute per la tempesta Vaia (2018) e per le nevicate del 2019, sembra realizzarsi almeno temporaneamente la compresenza di una fonte di riscaldamento sostenibile, un incentivo alla pulizia dei nostri boschi e una infrastruttura tecnologica che è fonte di lavoro qualificato per i piccoli paesi alpini.
Non è un equilibrio facile, come dimostra il caso (fallimentare) della TSN di Sellero. La possibilità che la rete del teleriscaldamento si estenda oltre i due comuni è solo un’ipotesi di scuola. I decisori politici dell’alta valle, tuttavia, dovrebbero farci più di un pensiero.

 Ivan Faiferri