Fare memoria a partire dal 28 gennaio. Una memoria dinamica e proiettata sull'oggi

Dice la senatrice Liliana Segre: "Ogni volta che c'è il giorno della memoria c'è grande interesse. Io credo che sia dal 28 in poi che bisogna ricordare". Ha ragione, ed è per questo che ne parliamo ora. Ci ha colpito un recente fatto di cronaca che ha dell'inaudito. Nelle settimane scorse un ragazzino dodicenne in un borgo della Toscana viene insultato, picchiato e offeso da due ragazze poco più grandi: "Tu devi stare zitto perché sei un ebreo. Ti mettiamo nel forno". Non possiamo capacitarci che dei ragazzini di oggi possano pensare e dire queste parole. Perché questa colpevolizzazione, questo odio, questo antisemitismo? 
In quanto educatori ci siamo documentati, anche con lunghi viaggi in Europa, sulla realtà della Shoah, quasi increduli dell'orrore che la storia del Novecento aveva prodotto. Abbiamo parlato ai bambini e ai ragazzi di questa voragine, portando loro storie di coetanei che, attraversando ignari quegli anni bui, sono stati catapultati nella bocca di un mostro che si cibava di carne umana. Ma abbiamo raccolto e raccontato anche storie di donne ed uomini audaci che, rischiando molto, hanno scelto di essere a fianco di fuggiaschi, persino sconosciuti, offrendo alloggi, protezione, agganci per la salvezza. Abbiamo nel piccolo costruito memoria.
E' importante scoprire che c'è sempre il momento della responsabilità per ognuno di noi. "Cosa avrei potuto fare?". E' il titolo di un saggio che raccoglie storie di ebrei in Valle Camonica tra fuga e Resistenza. Vi si trovano storie con esiti diversi. Veniamo a sapere che in Aprica furono confinati negli anni tra il 1941 e il 1943 circa trecento ebrei stranieri, come prigionieri. Si organizzarono in una comunità coesa, una specie di kibbutz, e, dopo l'armistizio, prima che i tedeschi occupassero l'Italia, fuggirono compatti verso la Svizzera, aiutati da organizzazioni ebraiche, ma anche da persone "giuste" del posto. Non fu sempre così. C'era una locanda a Edolo, sulla via Porro, "Colombina". Ancora è leggibile l'insegna. Mimmo Franzinelli, attingendo a testimonianze orali, ha appurato che nel dicembre del 1943 vi soggiornarono una notte dodici ebrei saliti in treno fino al paese. Il giorno successivo presero la corriera della Perego per Tirano, con l'intenzione di superare il confine verso la Svizzera. Ma il fanatico segretario del fascio di Edolo, avvertito dalle albergatrici della presenza dei fuggiaschi, organizzò un posto di blocco. Il mezzo di trasporto fu bloccato, i dodici vennero prelevati e portati in caserma. Su di loro precipitò il buio. 
A Brescia, alla vigilia del 27 gennaio, abbiamo partecipato ad una visita guidata per conoscere la storia della presenza ebraica in città, a partire dall'epoca romana. Una presenza numericamente non importante, ma significativa nei vari passaggi storici. La visita è culminata in Piazza Vittoria davanti al Torriore INA, il primo grattacielo d'Italia, costruito dal Piacentini nel 1932. Vi abitava la facoltosa famiglia ebrea Dalla Volta. All'ingresso due pietre d'inciampo ci dicono che Guido, padre, ed Alberto, figlio, finirono deportati ad Auschwitz. Vi trovarono la tragica morte che sappiamo. Grazie al prefetto, Manlio Candrilli, che negli anni della Repubblica di Salò, ossessionato dalla presenza ebraica ben integrata e produttiva, applicò con solerzia le leggi razziali e consegnò gli ebrei della città all'occupante tedesco, incamerandone i beni.
Cosa avrei potuto fare? Che cosa posso fare? La domanda vale anche per l'oggi. Per il giorno dopo la giornata della memoria. Quando cade il silenzio. Allora sapere che l'antisemitismo esiste ancora costituisce un dovere e un problema. Si tratta di un antisemitismo "a bassa intensità", come documenta una ricerca condotta recentemente, ma pervasivo e continuamente messo in circolazione. E' pericoloso perché non percepito, perché gli episodi di antisemitismo e razzismo sono ritenuti cose normali, come se fossero ragazzate. E ancora più pericoloso perché la leggenda di "Italiani Brava Gente" ci descrive come una terra aperta e tollerante, mentre tace sul passato coloniale e sulle leggi razziali e non vede il razzismo latente del nostro passato e del nostro presente. E precisiamo anche questo: neppure la ferocia con cui i governi israeliani hanno agito o agiscono nei confronti dei palestinesi giustifica l'antisemitismo. Fare memoria dinamica e vigilare con consapevolezza ci tocca sempre. Anche in tempo di pandemia, che amplifica indifferenza e disattenzione.

Alessio Domenighini e Margherita Moles