Il sacco del plogger

Sacchi sacconi sacchetti sacchettini.
Ploggare plasma nella sua interezza la figura che ne fa esperienza: nel fisico, nella psiche, persino nel linguaggio e nel ragionamento.

“Dove hai parcheggiato l’auto?”
“Sotto quell’albero, a qualche sacco dal tronco”.
Oppure, prostrato dalla stanchezza, dopo il solito allenamento, consulta il display al braccio ed esclama:
“Accidenti! Oggi ho corso “250.800 sacchi in 20 minuti: da record!”

Non mi stupirei per esempio se, prima o poi, il Sistema Internazionale di unità di misura ricevesse richiesta ufficiale di inserire o, perché no, di sostituire il “sacco” - e relative declinazioni dimensionali - al comune e scomodissimo “metro”.
Dopotutto, chi di noi ha mai fatto proprio il concetto di “metro”, tanto da utilizzarlo con naturalezza per spiegare, per esempio, a un forester dopo quanto deve svoltare per trovare la farmacia? O al commerciante, con le forbici in attesa di sapere quanti metri di stoffa abbiamo intenzione di acquistare?

Anche utilizzarlo a scopo informativo, per sapere banalmente quanto c’è “da qui a lì”, indicando un punto lontano, implicherebbe l’attuarsi di un ragionamento contorto, per il quale immagineremmo di sdraiare una persona di bassa statura (1,50 m circa), privandola successivamente di 1/3 della sua statura e scoprendo così a quanto corrisponde un metro.
Dopodiché, a persona in posizione sempre supina, ipotizzeremmo, a occhio e croce, quante persone sdraiate ci separano dal nostro punto di riferimento.
Dopo una stima dalla conclusione di dubbia affidabilità, ma comunque soddisfatti, archivieremmo la cosa e riprenderemmo a camminare per la nostra via, dimenticandoci tuttavia di rialzare da terra la persona immaginaria, che gentilmente si era prestata per aiutarci a capire quanto diavolo ci fosse “da qui a lì”.
A quel punto l’avremo già calpestata. 


Vedete dunque che l’utilizzo del “metro” ha un’intrinseca prossimità al sopruso, alla violazione di una massa di persone immaginarie, rimaste in posizione supina e calpestate poi da chissà quanti passanti ignari.
Problema che non si porrebbe nel caso in cui il SI accettasse di sostituire il sacco al metro: nessun bisogno di sdraiare persone né di calpestarle; inoltre il concetto di “sacco” è già presente come unità di misura nel linguaggio, per così dire, comune. 


Basti pensare al caso di due persone avviluppate in un fitto litigio: una delle due irrompe in un idiomatico “Brutto sacco di m***a!”.
Ora, dubito che l’invettiva conserverebbe la sua efficacia sull’insultato se il soggetto scegliesse di alleggerire l’espressione in “Brutto metro di m***a!”.
Ciò a rimostranza del fatto che “sacco” esprime una quantità, per quanto indefinita, capace di delinearsi, di quantificarsi molto più velocemente e spontaneamente nel nostro immaginario; molto più di quanto sia in grado di farlo “metro”: quanti di noi si saranno trovati costretti, almeno una volta, a portare fuori la spazzatura, rendendosi conto della mole e del peso di ciò che un singolo produce? 

A quanti invece è capitato di andare a zonzo per il paese misurando edifici o marciapiedi per farsi un’idea di quanti fossero 500 metri?
“Sacco”, insomma, porta tutti, presto o tardi, a esperienzializzare il concetto attraverso abitudini mondane e quotidiane, “metro” no.




Elena Zeziola