Uno sciopero per ricordare che la violenza di genere non è un problema solo femminile

Siamo stanche delle mimose, dei cioccolatini e delle scarpe rosse. Siamo stanche di essere ricordate l’8 marzo per poi essere calpestate e dimenticate gli altri 364 giorni. Siamo stanche delle quote rosa, perché se vivessimo in una società davvero sgombra da pregiudizi e preconcetti retrogradi, non ci sarebbe bisogno di una legge che autorizzi le donne a fare certi lavori. 
E poi siamo stanche anche di essere le sole a lottare, dove sono gli uomini? Ci stiamo rapportando alla violenza di genere come se fosse un problema solo nostro, come se fosse una questione esclusivamente femminile. Le politiche emergenziali non bastano ad affrontare un tema così vasto, una catastrofe sociale che nel 2021 non è più tollerabile. Possiamo andare sulla luna, ma storciamo il naso di fronte alle parole ministra, revisora dei conti o sindaca. Come se chiamare le donne che fanno un certo lavoro con un sostantivo femminile fosse un semplice capriccio, e non il riconoscimento della loro esistenza.

Il Centro Antiviolenza Donne e Diritti vuole proprio sottolineare l’esistenza di una problematica che tocca sì le donne, ma riguarda l’intera società. Oltre ad evidenziare la necessità di interventi strutturali di bilanciamento del potere e delle opportunità, operatrici, volontarie e professioniste del Centro si oppongono alla prospettiva di restare nuovamente confinate nelle case. Ormai un anno fa, quando le misure per far fronte alla pandemia erano rigidissime, ci avevano detto che per stare al sicuro avremmo dovuto blindarci a casa, ma non tutti i nidi sono una garanzia di protezione. Anzi. Violenza, controllo e coercizione si annidano esattamente dietro la porta e se ti obbligano a chiuderla, ti mandano in pasto ai lupi. Il Centro Antiviolenza non ci sta e aderisce allo sciopero generale globale indetto dai movimenti femministi, in occasione dell’8 marzo. 
Non solo donne ma anche bambini e bambine sono toccati nel profondo da questa situazione. Figli di un amore che poi chissà che fine ha fatto, costretti a respirare in casa una paura in grado di frantumare i pensieri e a crescere prima che fosse primavera.
Il Centro chiede, oltre a finanziamenti strutturali, anche la possibilità di mantenere la propria indipendenza per agire nell’interesse di donne e minori. Poi chiede anche qualcosa in più, qualcosa che domandiamo tutte: una nuova politica del lavoro, un rafforzamento dello stato sociale, un riordino anche sul piano legislativo.
Chiediamo un cambiamento nella cultura e nell’educazione maschile, una società migliore, nella quale non si abbia paura a tornare a casa da sole la sera.  

Maria Ducoli