Gianico: dalla confisca a un progetto di riscatto femminile

Sappiamo della presenza di un Centro Antiviolenza a Darfo, con uno sportello aperto a Cedegolo.
Come procede il servizio nel nostro territorio?
Ne parliamo con Anna Zinelli, coordinatrice del Centro Antiviolenza “Donne e Diritti” di Darfo Boario Terme e della Casa Rifugio, entrambi gestiti dall’Associazione Multietnica Terre Unite.



Puoi darci alcuni dati sulla funzionalità del Centro Antiviolenza negli ultimi anni?
Stiamo cercando di strutturare una raccolta dati che possa dare un’immagine realistica del lavoro svolto, ma non è facile. Nel 2019 abbiamo seguito 122 donne; nei primi 5 mesi del 2020, 105: 29 nuove, le altre già in contatto con il Centro nell’anno precedente.
I percorsi a volte durano qualche mese, altre volte anni perché quando ci sono procedimenti legali i tempi diventano molto lunghi.
Nel 2019 il numero dei percorsi chiusi positivamente sono stati 12, ovvero 12 donne hanno migliorato la loro condizione e hanno interrotto la spirale della violenza.

Che figure si prendono cura di una donna che si rivolge al Centro?
Il Centro opera a 360° per una presa in carico globale. L’equipe è composta da 3 operatrici antiviolenza, 2 psicologhe, 4 avvocate e 16 operatrici d’accoglienza.
I percorsi, di solito, iniziano con le cose più urgenti, ovvero la costruzione di una rete di protezione e sicurezza, ma molto spesso le donne che hanno vissuto per anni la violenza hanno bisogno di sostegno per poter ricominciare una vita più indipendente, anche quando decidono di non interrompere la relazione.
Nel 2019 abbiamo avuto un finanziamento aggiuntivo di Regione Lombardia che ci ha permesso di sostenere 19 donne con percorsi di formazione, il pagamento di affitto e utenze o tirocini lavorativi.

Il fenomeno della violenza è più vasto di quanto emerge. Perché le donne hanno difficoltà a rivolgersi al Centro Antiviolenza?
I motivi sono diversi per ognuna, ma molto spesso è la vergogna e la convinzione di essere le responsabili della violenza che vivono. Molte poi non sanno neppure di essere vittime di violenza, non hanno mai conosciuto altro e solo quando qualcuno a loro vicino gliene parla cominciano a vederla.
Poi c’è la paura per il futuro. La violenza la si conosce, mentre interrompere la relazione è un salto nel buio, soprattutto quando si è dipendenti economicamente e ci sono di mezzo i figli. Spesso le donne si preoccupano per i figli e sottovalutano la violenza (subita) assistita e i danni psico-fisici per i minori, di cui si parla ancora troppo poco.

Il Centro Antiviolenza è parte di una Rete Interistituzionale con più attori. Come si esplica questa collaborazione?
La Rete Antiviolenza è indispensabile per il lavoro del Centro. Spesso è necessario un lavoro in sinergia con altri soggetti e la Rete Antiviolenza ci ha dato la possibilità di conoscerci e trovare un linguaggio comune sulla violenza di genere. Ogni soggetto ha un suo ruolo ben specifico e un mandato istituzionale, ma poterci capire è già molto.
C’è poi tutta la questione della prevenzione che dovrebbe coinvolgere tutti e tutte; per questa ragione la nostra Rete è molto variegata e va dagli Enti al Terzo Settore, coinvolgendo anche scuole, società sportive e associazionismo.

Cosa è avvenuto di significativo nella vita del Centro in questi anni? E quali sviluppi intendi dare?
La vita del Centro è diventata più impegnativa perché, lavorando sempre più inseriti nella Rete, abbiamo dovuto aumentare la parte “burocratica” e la professionalità di tutte le operatrici, dalle psicologhe alle volontarie. Il Centro Antiviolenza è ormai un servizio, al pari di altri, sul territorio.
Personalmente mi piacerebbe poter aprire il Centro alle donne in generale, per lavorare anche sulla promozione dei saperi delle donne e su quelle forme di violenza o discriminazione che sono anche alla base del dramma della violenza domestica.

L’associazione Multietnica Terre Unite ha preso in gestione l’edificio abitativo di Gianico confiscato alla mafia. Che progetti avete?
Sulla casa di Gianico vorremmo riuscire a far partire due progetti. Un progetto di housing sociale per donne, eventualmente con figli, che non possono permettersi affitti di mercato: giovani donne che vogliono sperimentare l’indipendenza, donne in fase di separazione, lavoratrici fuori sede o in temporanea difficoltà. L’affitto sarà calmierato e temporaneo.
Vorremmo poi avviare uno sportello per promuovere il lavoro e le idee delle donne per sostenere la possibilità di avere un reddito attraverso tanti piccoli lavori promossi attraverso un unico canale comunicativo.
Saranno due progetti finalizzati a contrastare soprattutto la violenza economica che è una forma di violenza strutturale contro le donne e non relegata alle mura domestiche.

Margherita Moles