Mario Burlotti: il "lei", il "tu" e un bicchiere di rosso


Quante battaglie, con il “vecchio” Burlotti.
“Mario”, come lo chiamavano i delegati sindacali (Beppe Pedersoli; Giacomo Zani; Francesco Ducoli, “Regis”; Pelamatti, non ricordo il nome…). Dandogli del tu. Noi due no, ci si dava del “lei”, ma si capiva benissimo che lui avrebbe preferito il più diretto “tu”. Tranne, forse, quando si entrava nel suo ufficio per concordare i termini ed infine firmare, magari dopo due o tre giorni di sciopero, uno dei tanti accordi sindacali.
Ricordo come fosse ieri l’iniziale caparbietà nel respingere le richieste dei lavoratori dipendenti (diverse decine) e, quindi, quasi come una sorta di disagio al momento della firma di un accordo. Perché dopo aver infine concordato sui punti per la chiusura della vertenza, la firma per lui era quasi come una formalità superflua.
Ricordi che risalgono alla seconda metà degli anni Settanta ed all’intero decennio successivo.

Dopodiché, con il venir meno delle ragioni “di mestiere” (siamo andati in pensione entrambi sul finire del millennio), abbiamo cominciato a darci del “tu”, senza alcun imbarazzo, anzi… E se poi capitava d’incontrarci nei paraggi della Fanfara degli Alpini in attività, ci poteva scappare pure un buon bicchiere di rosso in compagnia...
A proposito, portati un buon fiasco di rosso, Mario Burlotti, perché Beppe Pedersoli e Giacomo Zani, “andati avanti” da qualche anno, ti stanno aspettando!

Tullio Clementi

(il ritaglio della notizia della morte di Burlotti è tratto dal Giornale di Brescia di ieri)