Lettera Aperta a Paolo Erba

Caro Sindaco,
la storia che hai raccontato qualche settimana fa e che riassumiamo brevemente per far capire anche ai lettori di che cosa si tratta, ha un valore che va al di là dei confini del tuo comune.
È una storia italiana.
È una storia del virus.
È una storia che riguarda l’amministrare in un piccolo o in un grande comune.

Dunque tu scrivi:

Piero ha quasi 75 anni. È venuto su con l'ideologia camuno-calvinista del lavoro: "laurà, laurà, laurà". Obbligato ad andare in pensione, ha messo tutte le energie a sistemare alcune collette fuori paese rubate al monte dagli avi per farne dentro un po’ di orto e vigneto. La moglie è contenta, così non ce l'ha troppo in casa a lamentarsi… Da qualche settimana ha il cruccio del suo orto. Che è poi tutti i suoi pensieri. "Sciur hindek, pode mia nà? L'è ura per l'aiva dela it.", mi ha chiesto venti giorni fa. "Pota, he pol mia, Piero, porta pahenscia". Sia io sia lui sappiamo che Piero rischia di più a far la coda alla bottega rispetto che andare sul campo. Ma chi ha scritto la norma, questa cosa non la sa. Pensa agli orti urbani. E ai terreni della pianura padana.
Ieri, appena emessa la circolare che si poteva andare negli orti, ho chiamato Piero. Ero un po' arrabbiato, posso dirvelo, perché questa faccenda che devono chiamare me e i carabinieri proprio non mi torna. Qualcuno addirittura mi paventa che tutti i Pieri dovrebbero mandare una Pec al comune e ai carabinieri.
Credo che questo virus ci abbia fatto vedere, tra le tante sfighe, che è possibile governare territori dimenticandosi della burocrazia e con decisioni prese da chi è vicino al territorio. Quando potremo davvero ragionare di com'è andata, potremo dirci che le valli le hanno salvate le persone che ci abitano. Con il loro buon senso di montagna.

Caro Paolo, purtroppo i governi e i parlamenti (non ne faccio una questione partitica) spesso si dimenticano della complessità del paese e del fatto che l’Italia è un paese di montagna. Le catene montuose non circondano solo il nord. Attraversano come una spina dorsale tutta la penisola e coinvolgono pure le isole.
Ma si continua a legiferare come se il paese fosse Roma, Milano, Napoli, Palermo.
Non è così.
I sindaci lo sanno bene e ciò che è drammatico è che devono lottare contro chi dovrebbe essere preposto a sostenerli. La burocrazia non è un Moloch indecifrabile. È il comportamento del legislatore superficiale e di coloro che le leggi le debbono applicare. Non è qualcosa di lontano o di romano. Si annida spesso anche nell’impiegato dell’ultimo insignificante comunello di montagna. Nello scribacchino che al posto di facilitare i compiti dei cittadini onesti complica loro la vita.
Un sindaco avveduto non si nasconde ogni giorno dietro alle leggi. Usa, come hai fatto tu, il buon senso e sceglie in base al minor danno alla società e all’individuo.

Ma, spiegami un mistero: perché un sindaco come te negli enti comprensoriali non ha mai trovato un posto di assessore o di amministratore delle società pubbliche?
Non sei obbligato a rispondere. La risposta se la daranno da soli i nostri cinque lettori.

Giancarlo Maculotti