L'algoritmo e la libertà di stampa

In una mattina come tante (siamo nel sec. XVIII), apparve sulla piazza di Breno, davanti alla casa del Capitano di Valle, una scritta decisamente infamante, che diceva, più o meno, "qui dentro è tutto un ritrovo di muli".
Nel palazzo, in effetti, si riuniva l'assemblea della Comunità di Valle, ovvero il più alto consesso politico camuno, responsabile dei destini della vallata montana.
Il documento è tutt'oggi conservato nella Raccolta Putelli di Breno, se volete vederlo.
Il suo anonimo estensore aveva senza dubbio scelto il luogo di affissione per ottenere la massima eco per il suo messaggio.
Ma se oggi dovessimo portare un nostro messaggio, simile o diverso, quale luogo potremmo scegliere, per avere lo stesso effetto?
Qualche decina di anni fa, avremmo potuto utilizzare la prima pagina di un quotidiano. Ma oggi, come sappiamo, la lettura dei giornali è abitudine di pochi.
"La gente" si informa altrove: sui social network, per esempio.
Tuttavia, se scegliessimo di pubblicare il nostro messaggio su una delle tante reti sociali a disposizione, ci troveremmo di fronte ad un grosso inghippo.
Come ogni libertà, anche quella di stampa e di manifestazione del proprio pensiero dev'essere, oltre che formale, sostanziale. Ma questa libertà è sostanzialmente negata, oggi, sulle grandi piattaforme, perché i messaggi che vi si trovano non hanno tutti lo stesso peso.
E' "l'algoritmo", un processo automatizzato, che decide cosa mostrare e a chi, sulla base di vari criteri: preferenze personali già mostrate dall'utente-lettore, caratteristiche oggettive della pubblicazione (se c'è un'immagine, quanto è lungo il testo, e molto altro), quanto l'autore ha pagato per fare sì che altri vedessero il suo scritto e altro ancora.
Quindi, spesso una pubblicazione viene mostrata più di un'altra quando la sua forma rispecchia meglio il modello voluto dai creatori della piattaforma, o perchè  è fatta da un autore con più seguito di un altro, o perché riesce a stimolare una discussione più accesa (per cui largo ai contenuti spazzatura...).
Lo spazio, insomma, è dinamico: noi crediamo di affiggere il nostro messaggio nel mezzo della piazza, davanti alla casa del capitano di valle. Poi arriva l'algoritmo, e ce lo sposta nella viuzza a lato della chiesa, o ancora nell'involto a fianco del palazzo, in un angolino buio, con un processo su cui noi abbiamo poco o nessun controllo.
Naturalmente questa è solo una parte del tutto, e viva le grandi piattaforme che comunque ci permettono di diffonderli, questi messaggi (tra cui anche ciò che state leggendo). Ma non siamo liberi nel modo in cui spesso si sente dire.
Concludo con una nota antica, ma sempre attuale, soprattutto in questi tempi di pandemia e di potere politico che cerca di manipolare le notizie.
Il grande Bernardino Zendrini, matematico veneto nativo di Valle di Saviore, scrive nel suo "Trattato sulla Chinachina" (1727):
Vedrete dunque, Illustrissimo ed Eccellentissimo Signore, scritto questo mio Trattato forse con maggior libertà, e filosofico candore di quello richiegga l'uso con cui si trattano le mediche materie, ...  persuaso che nella letteraria Repubblica, e specialmente nella Medica non siaci mai l'occasione, di desiderare il rara temporum foelicitas, in qua sentire qua velis, & qua sentis libere dicere fas est. Anzi è il libero parlare di somma utilità, dovendosi trattare del pubblico vantaggio del genere umano per procurare di porlo al coperto dalle disgrazie de'mali.
Un monito anche a noi, in difesa della libertà di manifestazione del pensiero e della ricerca scientifica.

Ivan Faiferri