La medicina non può tutto: il potere delle emozioni

Autore: Franco Arminio
Titolo: Manifesto della terza medicina
Casa editrice: AnimaMundi edizioni
Collana: Piccole gigantesche cose
Anno: 2018


Attenzione: consultare questo libro non ha alcuna controindicazione, si legge in un’ora ed è un potentissimo antidepressivo, un’esplosione di immaginazione, un inno all’ecologia dei sentimenti, un modo per riconnettersi a se stessi e al mondo. Tra i possibili effetti collaterali si è riscontrato qualche brivido che corre giù per la schiena. Se siete in cerca di psicologia spicciola e risposte sbrigative potreste farvi un po’ male, non abbiate paura, poi passa. Prosa e poesia sono saggiamente dosate e mescolate, durante la lettura subirete una continua tensione tra il sentirvi dentro voi stessi e il sentirvi al di fuori, coltivatela.

Non c’era forse periodo più consono per parlare di questo piccolo manifesto, presi come siamo dalla vana ricerca di spiegazioni scientifiche, rassicurazioni mediche, previsioni certe. Eppure lo sappiamo bene, la medicina non può tutto, un buon medico, un bravo scienziato, sono i primi a dire che non sanno quasi nulla. Forse il focus dell’attenzione va posto sull’impazienza - scrive Arminio - e sull’idea che abbiamo della malattia. Se ci pensiamo, quando diciamo di non sentirci bene ci sentiamo lontani da noi stessi, imprigionati in un corpo misterioso, destinato, prima o poi, a scomparire. Corriamo da medici e farmacisti con l’urgenza di rimuovere la malattia, senza comprendere che si tratta di un fenomeno che tocca ogni aspetto della vita e non può essere completamente appaltato dalla medicina.

“Definire la malattia di una persona con la parola depressione è come riassumere la forma di un’automobile dicendo che ha le ruote”. 

Allora bisogna pensare che “un corpo non è un insieme di organi ma un altro luogo dell’universo particolarmente denso, come il tronco di un albero, come la terra, una materia squarciata dai nervi su cui corre quella misteriosa anomalia dell’umano che chiamiamo coscienza”. Ecco un accenno della prosa intensa di Franco Arminio, bramoso come sempre di rivendicare nella lingua una forma di cura, nella poesia un farmaco che guarisce chi legge.

In analogia con Il terzo paesaggio di Gilles Clement, in quest’opera si fa strada in forma poetica l’ipotesi di una terza medicina, terapia alternativa che non esclude nulla, “può tenere insieme il dermatologo e il paesologo. Guardare la pelle infiammata e guardare il paesaggio”. Il nodo cruciale è che le persone si ammalano quando reprimono le loro emozioni, quando non riescono a dare una forma linguistica a quello che sentono, quando non sanno più osservare. I versi di Arminio lambiscono il lettore come panni svolazzanti appesi a un filo, delicati e sconvolgenti, pieni di luce.

Curarsi con la bocca,
con gli occhi,
curarsi con il cielo,
accordare il cuore 
con le foglie
con le formiche.
Curarsi
con la preghiera,
leggendo poesie,
curarsi col sole,
col vento,
prendere la medicina 
dell’alba
lo sciroppo della lingua. 
Tornare agli occhi,
allo sguardo,
il tuo sguardo salvavita. 

Sia chiaro, aprirsi alle emozioni ed esercitare lingua e sguardo non impedisce l’insorgere della malattia, tuttavia serve a sollecitare l’empatia, la clemenza, la gentilezza, l’ansia stessa a diventare terapia.

(…) non ti può salvare
la cura, ma l’idea che sei pronto
a tutte le forme che prende
la tua vita e anche la sua fine.  
Ecco, questo ti guarisce
rallenta l’ansia, il moto
del sangue, ti porta a sentire 
uguale il giro dell’anima 
e la vita di una foglia, 
ti porta non alla fine del male 
ma del malessere.

Anche l’enigma della morte, scandaloso e indicibile, diventa forma di guarigione. Per la terza medicina non è necessario curare, intervenire, medicalizzare. A volte bisogna lasciarsi vivere, abbandonarsi alla corrente, a quello che deve semplicemente accadere: “un amore, un disagio, una letizia, una sventura” e poi “stare nel mondo perfettamente nudi, stare nell’aria, sventolare il proprio respiro sul cuore di chi sta morendo, mettere commozione nei giorni in cui non accade niente, nelle cose inosservate, nelle ore incustodite”. Non si tratta di un atteggiamento passivo, anzi, la buona cura dell’agire diventa centrale: usare il corpo, attivare i sensi, fare gesti luminosi, prestare attenzione, adottare un luogo, un odore, sono esortazioni per guarire l’esistenza di tutti, non solo la salute.
Come accade con i paesi sofferenti, in Arminio le patologie, i corpi dolenti, le psicosi, aprono la crepa della poesia, della salvezza, nella consapevolezza che, in fondo, la malattia più grande è credersi importanti, pensare di appartenere a una specie che può tutto e invece non può nulla.

(…) Infine: ripetere qualche errore
è umano, lo farai sempre,
ti serve ad avere una traccia,
ma ogni tanto allontanati,
vattene via dalle tue attese,
da quelle belle e da quelle brutte,
lontano da te e dalla tua vita
ci sono cose bellissime
che ti aspettano.


Marco Bigatti