Brescia, 28 maggio 1974

Via Moretto, corso Zanardelli, via X Giornate.
Un percorso da incubo, una caduta nel baratro più nero.
Una serie di coincidenze mi permette di rivivere ancora oggi quel funesto 28 maggio del 1974.
A Brescia tra le vittime di Piazza Loggia avrei potuto esserci anch’io o avrebbe potuto esserci anche Carla.
Uscendo dal tribunale dove mi ero recato a ritirare un decreto di esproprio per la costruzione del nuovo acquedotto comunale (allora ero sindaco di Ono S.Pietro) fui investito dall’urlo delle sirene e paralizzato dalla vista degli automezzi dei vigili del fuoco e delle forze dell’ordine che sfrecciavano velocissime per via Moretto in direzione di Piazza della Loggia dove si stava svolgendo una manifestazione sindacale in risposta ai vari attentati che in quei mesi si erano registrati a Brescia.
Percorsi quasi correndo, ansimando e col cuore in gola via Moretto, corso Zanardelli, via X Giornate, fino a Piazza Loggia.
Affacciatomi alla Piazza mi sentii venir meno, qualcuno mi sorresse facendomi appoggiare ad una colonna. Gli occhi annebbiati vedevano le sagome ricoperte da lenzuoli bianchi, il sangue per terra e i brandelli di carne umana spiaccicata sui muri degli edifici circostanti.

I feriti furono più di cento e i morti otto.
Giulietta Banzi Bazoli, 34 anni, insegnante di francese.
Livia Bottardi in Milani, 32 anni, insegnante di lettere.
Alberto Trebeschi, 37 anni, insegnante di fisica.
Clementina Calzari Trebeschi, 31 anni, insegnante.
Euplo Natali, 69 anni, pensionato, ex partigiano.
Luigi Pinto, 25 anni, insegnante.
Bartolomeo Talenti, 56 anni, operaio.
Vittorio Zambarda, 60 anni, operaio.


Cinque delle otto vittime erano insegnanti come me; li conoscevo bene: ci si incontrava spesso a discutere di scuola, di nuovi contenuti e di riforma della didattica. Ci eravamo dati appuntamento anche per quel giorno; se non avessi ritardato probabilmente mi sarei trovato con loro al momento dell’esplosione.
Carla non la vedevo: continuavo a fissare le sagome coperte dai lenzuoli bianchi, una poteva essere lei.
Poi gli amici ospedalieri mi rassicurarono: è viva anche se al momento della deflagrazione si trovava a non più di tre o quattro metri dietro la colonna del cestino dove era stata deposta la bomba. Sotto i portici della piazza aveva trovato riparo dalla pioggia che aveva iniziato a cadere su Brescia.
Quante volte, negli anni, siamo ritornati a quella colonna sbrecciata: l’aveva protetta al momento dell’esplosione che l’aveva scaraventata dentro la vetrina del negozio retrostante!

Le settimane successive furono di angoscia, di smarrimento e di incubi, soprattutto durante le lunghe notti, passate con tutte le luci di casa sempre accese; il sonno agitato interrotto da soprassalti ad ogni minimo rumore.



Poi il ricordo dei funerali. La presenza di persone accorse da tutta Italia mi parve un rifugio nel quale non sentirmi solo.
Per la verità furono due i funerali: quelli di Stato e quelli del mezzo milione di cittadini comuni che si sentivano traditi da un Potere che non era stato in grado di proteggerci, anche perché tra i responsabili della strage, si scoprì durante il lungo iter processuale, vi erano uomini dello Stato.
Ricordo che in quell’occasione mi rifiutai di indossare la fascia tricolore e di accodarmi alle altre autorità in Piazza Loggia.
Scelsi di essere in mezzo alle centinaia di migliaia di persone che affollavano l’attigua Piazza Vittoria.
Era un rifugio più sicuro dove poter rielaborare il ricordo di quella caduta.

Valerio Moncini