Scienza e poesia nel Loop




“Tales from the Loop” (Amazon prime Video)


Mentre perdura la serrata delle sale cinematografiche - e con essa la relativa malinconia del cinefilo ossessivo-compulsivo che non sa rinunciare al rituale del biglietto, della coda, dei richiami in sala e della commozione finale da ritorno alla realtà – ci pensano le piattaforme di streaming a garantire continuità alla macchina desiderante del cinema, offrendo nuovi film (pochi e deludenti) e l’ormai torrenziale quantità di serie (rigorosamente da selezionare, pescando ciò che è di valore).


In questo calderone fatto di abbonamenti, promozioni, family-pack e hackeraggi vari, piccola gemma nascosta è “Tales from the Loop”, la nuova serie Amazon Prime Video firmata da Natahaniel Halpern, liberamente tratta dall’omonimo volume di tavole dell'autore svedese Simon Stålenhag (Oscar Mondadori Ink), nella quale domina la componente visiva, preponderante rispetto agli scarni dialoghi, in uno straniante equilibrio tra ordinario e straordinario. Gli otto episodi, diretti da altrettanti registi (spiccano Jodie Foster e Mark Romanek), ci portano negli anni Ottanta in un piccolo paese rurale dell’Ohio, dove è stato costruito un grande acceleratore di particelle chiamato “il Loop", che lentamente condizionerà le vicende personali dei suoi abitanti tra robot dall’indole umana, inusuali oggetti magici, viaggi nel tempo e nello spazio.


Influenzato per sua stessa ammissione dal cinema di Kieślowski, Tarkovsky e Bergman, Tales From the Loop offre allo spettatore la descrizione di un luogo immerso nella natura che convive in uno strano equilibrio armonico con la tecnologia, mettendo in scena una narrazione mai distopica o angosciante, ma piuttosto mirata allo stupore, all’empatia, al “senso di bene” come ha recentemente dichiarato il suo creatore. La galleria di ritratti dispiegata negli episodi, che guarda con affetto al mondo dell’infanzia e dell’adolescenza, si distacca dunque dal racconto fantascientifico dominato dall’ansia per il futuro, ma ricalca piuttosto la forma della raccolta poetica, nella quale le immagini sono più efficaci dei dialoghi, e a tutti i personaggi alla fine converrà contemplare la bellezza, spesso inspiegabile, delle cose.


Orchestrato come una costellazione di singole storie che, per i motivi insondabili del destino, arriveranno a intrecciarsi o solo a sfiorarsi così come i movimenti musicali orchestrati da Philip Glass e Paul Leonard-Morgan, Tales from the Loop diventerà, nei mesi della pandemia, il volume di versi da interrogare – senza troppe pretese filosofiche – nel tentativo di indagare il rapporto tra l’uomo (generatore di tecnica) e la natura (modello originario di tale tecnica), per scoprire, forse, che la risposta risiede nella parola “connessione”, oggi da riscrivere da capo. Come dentro un Loop.


Stefano Malosso


(Immagine di Marc Schulte)