Cosa significa oggi, comportarsi da giusti?
Questo il quesito sotteso alle due iniziative tenutesi lo scorso gennaio a Breno, in occasione della Giornata delle Memoria. Questo il monito rivolto in particolare ai giovani: riempire di significato la parola Resistenza e saperla declinare in ogni epoca storica, compresa quella presente. Avere il coraggio delle generazioni che ci hanno preceduto nello scegliere da che parte stare anche quando risulta scomodo e impopolare. Affermare la centralità e la dignità dell’essere umano in quanto tale, a qualsiasi latitudine, qualsiasi lingua parli e religione professi e combattere con ogni mezzo i nazionalismi ottusi, i razzismi timorosi e i capri espiatori comodi.
Essere giusti ovvero, restare umani, liberi, resistenti.
La legge degli uomini e la legge degli Stati, la difficile posizione di dover scegliere se rischiare la propria vita o se consegnare a un potere ingiusto quella di migliaia di innocenti: da queste domande che non conoscono confini, né epoche storiche ha preso avvio la riflessione che l’Anpi di Valle Camonica, unitamente alla Commissione Scuola Ermes Gatti, al Circolo Aldo Caprani e alla Coop. K-Pax onlus ha voluto proporre per la data del 27 Gennaio 2020. L’iniziativa, patrocinata dal Comune di Breno si è svolta al Palazzo della Cultura e ha visto l’eccezionale partecipazione di Franco Perlasca, figlio di Giorgio Perlasca e di sua moglie, rappresentanti della Fondazione omonima che si occupa di promuovere la storia dell’italiano a cui è stato dedicato un albero nel Giardino dei Giusti di Gerusalemme, simbolo della sua rischiosa e rocambolesca impresa, con la quale salvò la vita a oltre cinquemila ebrei ungheresi.
La vicenda, per molto tempo sconosciuta per volere dello stesso Perlasca e poi recentemente riscoperta dalla stampa e dalla tv, ha dell’incredibile: Giorgio Perlasca, giovane italiano fascista, volontario nella guerra civile spagnola tra le file dell’esercito franchista e poi nelle campagne d’Africa, si trova in Ungheria in qualità di commerciante di bestiame per conto dell’Esercito italiano. Quando le Croci Frecciate prendono il potere, per l’italiano nazionalista e monarchico che non ha aderito alla Repubblica di Salò le cose si mettono male; l’unica possibilità per tornare a casa potrebbe essere un salvacondotto rilasciato dall’ambasciata di Spagna, a cui avrebbe diritto in quanto ex combattente volontario. Quando però Perlasca si reca al Consolato Spagnolo di Budapest, la situazione che gli si spalanca sotto gli occhi è tragica e lo pone di fronte a una scelta che non si può evitare: l’ambasciata di Spagna dispone di alcuni immobili in cui sta stipando migliaia di ebrei ungheresi, sfruttando le loro (presunte) origini iberiche, tentando così di salvarli dalle deportazioni massive verso i campi di sterminio. L’entourage spagnolo però scarseggia e l’operazione di messa in salvo perde il passo rispetto alla ferocia e alla velocità dei rastrellamenti.
Perlasca non ha alcun dubbio: il ritorno in Italia può attendere, la situazione ungherese no.
E’ così che si mette a disposizione dell’ambasciata e inizia la sua personale, meticolosa operazione di supervisione e protezione delle case protette: contratta coi generali tedeschi il rilascio di ogni singolo bambino, la liberazione di ogni persona già pronta ad essere fucilata o in marcia verso le stazioni stracolme di un’umanità da macello. La sua impresa raggiunge il culmine quando il legittimo console spagnolo lascia l’ambasciata e la situazione delle case protette piomba nel caos. E’ a questo punto che Perlasca, sfoderando lo spagnolo fluente imparato durante il periodo della Guerra Civile, inizia a firmarsi Jorge Perlasca, si improvvisa console e porta avanti la rischiosissima finzione grazie a cui salverà migliaia di famiglie ebree.
La guerra finisce, Perlasca fa ritorno in Italia e si reinventa una vita da uomo comune, barcamenandosi tra lavori di fortuna e routine familiare, fino a rimettersi in piedi e ristabilire il suo tenore di vita. Con la moglie e con il figlio neanche una parola sulla sua impresa ungherese. Solo un dossier, consegnato in doppia copia al governo spagnolo e a quello italiano, per difendersi da eventuali accuse postume per aver “usurpato” il titolo di ambasciatore di Spagna. Da entrambi i governi non arriverà mai nessuna risposta, nessun riconoscimento: la storia non fa comodo a nessun partito e nessuno avrebbe molto da guadagnarci a celebrare un ex -fascista- eroe italiano.
Il destino fa la sua parte quando, negli anni '80, un gruppo di donne ebree, che a lungo e invano avevano cercato di contattare il Signor Jorge Perlasca cittadino spagnolo, riescono a raggiungere l’ormai anziano signore italiano nella sua casa del padovano. La storia viene recuperata, divulgata, celebrata e Giorgio Perlasca viene insignito del titolo di Giusto della Terra.
In una delle sue più celebri interviste dichiarerà di non aver agito né per eroismo né per fede politica, ma con una sana dose di incoscienza di fronte a un’ingiustizia inaccettabile.
L’incontro con la fondazione Perlasca è stato replicato a cura della Commissione Scuola Ermes Gatti per gli studenti del Liceo C. Golgi di Breno, col fine di stimolare la riflessione su cosa significhi essere “giusti” e per invitare all’approfondimento sul tema della giustizia come dissidenza e ribellione al potere costituito. Infatti, il “mai più” che campeggia sulle immagini dei campi di concentramento trasmessi dalla stampa e dalle pubblicità progresso nella settimana del 27 Gennaio non ha trovato realmente e pienamente attuazione nemmeno per un giorno: alle porte dell’Europa, quella stessa civilissima Europa che si è costituita all’indomani della barbarie bellica, migliaia di persone vivono entro confini di filo spinato. Si tratta di famiglie siriane, curde, africane costrette in campi profughi non molto dissimili da ghetti, che vengono respinte a colpi d’arma da fuoco anche se scappano dai bombardamenti, che vengono incarcerate nelle prigioni libiche dove le torture e le condizioni di vita si somigliano molto a quelle dei campi conosciuti dall’Europa durante i deliri nazifascisti.
La storia ci ha insegnato che essere dalla parte giusta significa anche non cedere il posto sull’autobus riservato ai bianchi; ci ha insegnato che imbracciare le armi può essere giusto, anzi doveroso, se significa combattere il nazifascismo o l’apartheid.
Per qualcuno essere Giusto implica difendere la propria fede religiosa dalle persecuzioni, come fecero i primi martiri, o bruciare sul rogo pur di non rinnegare la propria idea e la propria laicità.
Far parte dei giusti per la cultura ebraica ha un significato decisamente speciale, implica l’aver salvato almeno un ebreo, non aver divulgato la propria impresa e aver agito a rischio della propria vita. Ma nella cultura occidentale in cui affondiamo radici, da Antigone in poi, essere giusti significa seguire una legge morale e universale, una legge degli uomini, anche quando ciò significa contravvenire alle leggi miopi di uno Stato o di una bandiera. E allora, forse, essere giusti è anche rompere un blocco navale, forse essere giusti significa accogliere.
Essere giusti implica continuare a battersi, sempre, perché i diritti fondamentali dell’uomo vengano rispettati in ogni angolo di mondo, anche dove le persecuzioni religiose, razziali, di genere imperversano nel silenzio e col nostro beneplacito; dove le bombe continuano a cadere sui civili, dove le donne possono essere lapidate o arse vive, dove lo sterminio cosciente e progettato di un popolo non trova ostacoli sufficienti nelle missioni di pace dei governi democratici.
(Giovani Anpi Vallecamonica)
Questo il quesito sotteso alle due iniziative tenutesi lo scorso gennaio a Breno, in occasione della Giornata delle Memoria. Questo il monito rivolto in particolare ai giovani: riempire di significato la parola Resistenza e saperla declinare in ogni epoca storica, compresa quella presente. Avere il coraggio delle generazioni che ci hanno preceduto nello scegliere da che parte stare anche quando risulta scomodo e impopolare. Affermare la centralità e la dignità dell’essere umano in quanto tale, a qualsiasi latitudine, qualsiasi lingua parli e religione professi e combattere con ogni mezzo i nazionalismi ottusi, i razzismi timorosi e i capri espiatori comodi.
Essere giusti ovvero, restare umani, liberi, resistenti.
La legge degli uomini e la legge degli Stati, la difficile posizione di dover scegliere se rischiare la propria vita o se consegnare a un potere ingiusto quella di migliaia di innocenti: da queste domande che non conoscono confini, né epoche storiche ha preso avvio la riflessione che l’Anpi di Valle Camonica, unitamente alla Commissione Scuola Ermes Gatti, al Circolo Aldo Caprani e alla Coop. K-Pax onlus ha voluto proporre per la data del 27 Gennaio 2020. L’iniziativa, patrocinata dal Comune di Breno si è svolta al Palazzo della Cultura e ha visto l’eccezionale partecipazione di Franco Perlasca, figlio di Giorgio Perlasca e di sua moglie, rappresentanti della Fondazione omonima che si occupa di promuovere la storia dell’italiano a cui è stato dedicato un albero nel Giardino dei Giusti di Gerusalemme, simbolo della sua rischiosa e rocambolesca impresa, con la quale salvò la vita a oltre cinquemila ebrei ungheresi.
La vicenda, per molto tempo sconosciuta per volere dello stesso Perlasca e poi recentemente riscoperta dalla stampa e dalla tv, ha dell’incredibile: Giorgio Perlasca, giovane italiano fascista, volontario nella guerra civile spagnola tra le file dell’esercito franchista e poi nelle campagne d’Africa, si trova in Ungheria in qualità di commerciante di bestiame per conto dell’Esercito italiano. Quando le Croci Frecciate prendono il potere, per l’italiano nazionalista e monarchico che non ha aderito alla Repubblica di Salò le cose si mettono male; l’unica possibilità per tornare a casa potrebbe essere un salvacondotto rilasciato dall’ambasciata di Spagna, a cui avrebbe diritto in quanto ex combattente volontario. Quando però Perlasca si reca al Consolato Spagnolo di Budapest, la situazione che gli si spalanca sotto gli occhi è tragica e lo pone di fronte a una scelta che non si può evitare: l’ambasciata di Spagna dispone di alcuni immobili in cui sta stipando migliaia di ebrei ungheresi, sfruttando le loro (presunte) origini iberiche, tentando così di salvarli dalle deportazioni massive verso i campi di sterminio. L’entourage spagnolo però scarseggia e l’operazione di messa in salvo perde il passo rispetto alla ferocia e alla velocità dei rastrellamenti.
Perlasca non ha alcun dubbio: il ritorno in Italia può attendere, la situazione ungherese no.
E’ così che si mette a disposizione dell’ambasciata e inizia la sua personale, meticolosa operazione di supervisione e protezione delle case protette: contratta coi generali tedeschi il rilascio di ogni singolo bambino, la liberazione di ogni persona già pronta ad essere fucilata o in marcia verso le stazioni stracolme di un’umanità da macello. La sua impresa raggiunge il culmine quando il legittimo console spagnolo lascia l’ambasciata e la situazione delle case protette piomba nel caos. E’ a questo punto che Perlasca, sfoderando lo spagnolo fluente imparato durante il periodo della Guerra Civile, inizia a firmarsi Jorge Perlasca, si improvvisa console e porta avanti la rischiosissima finzione grazie a cui salverà migliaia di famiglie ebree.
La guerra finisce, Perlasca fa ritorno in Italia e si reinventa una vita da uomo comune, barcamenandosi tra lavori di fortuna e routine familiare, fino a rimettersi in piedi e ristabilire il suo tenore di vita. Con la moglie e con il figlio neanche una parola sulla sua impresa ungherese. Solo un dossier, consegnato in doppia copia al governo spagnolo e a quello italiano, per difendersi da eventuali accuse postume per aver “usurpato” il titolo di ambasciatore di Spagna. Da entrambi i governi non arriverà mai nessuna risposta, nessun riconoscimento: la storia non fa comodo a nessun partito e nessuno avrebbe molto da guadagnarci a celebrare un ex -fascista- eroe italiano.
Il destino fa la sua parte quando, negli anni '80, un gruppo di donne ebree, che a lungo e invano avevano cercato di contattare il Signor Jorge Perlasca cittadino spagnolo, riescono a raggiungere l’ormai anziano signore italiano nella sua casa del padovano. La storia viene recuperata, divulgata, celebrata e Giorgio Perlasca viene insignito del titolo di Giusto della Terra.
In una delle sue più celebri interviste dichiarerà di non aver agito né per eroismo né per fede politica, ma con una sana dose di incoscienza di fronte a un’ingiustizia inaccettabile.
L’incontro con la fondazione Perlasca è stato replicato a cura della Commissione Scuola Ermes Gatti per gli studenti del Liceo C. Golgi di Breno, col fine di stimolare la riflessione su cosa significhi essere “giusti” e per invitare all’approfondimento sul tema della giustizia come dissidenza e ribellione al potere costituito. Infatti, il “mai più” che campeggia sulle immagini dei campi di concentramento trasmessi dalla stampa e dalle pubblicità progresso nella settimana del 27 Gennaio non ha trovato realmente e pienamente attuazione nemmeno per un giorno: alle porte dell’Europa, quella stessa civilissima Europa che si è costituita all’indomani della barbarie bellica, migliaia di persone vivono entro confini di filo spinato. Si tratta di famiglie siriane, curde, africane costrette in campi profughi non molto dissimili da ghetti, che vengono respinte a colpi d’arma da fuoco anche se scappano dai bombardamenti, che vengono incarcerate nelle prigioni libiche dove le torture e le condizioni di vita si somigliano molto a quelle dei campi conosciuti dall’Europa durante i deliri nazifascisti.
La storia ci ha insegnato che essere dalla parte giusta significa anche non cedere il posto sull’autobus riservato ai bianchi; ci ha insegnato che imbracciare le armi può essere giusto, anzi doveroso, se significa combattere il nazifascismo o l’apartheid.
Per qualcuno essere Giusto implica difendere la propria fede religiosa dalle persecuzioni, come fecero i primi martiri, o bruciare sul rogo pur di non rinnegare la propria idea e la propria laicità.
Far parte dei giusti per la cultura ebraica ha un significato decisamente speciale, implica l’aver salvato almeno un ebreo, non aver divulgato la propria impresa e aver agito a rischio della propria vita. Ma nella cultura occidentale in cui affondiamo radici, da Antigone in poi, essere giusti significa seguire una legge morale e universale, una legge degli uomini, anche quando ciò significa contravvenire alle leggi miopi di uno Stato o di una bandiera. E allora, forse, essere giusti è anche rompere un blocco navale, forse essere giusti significa accogliere.
Essere giusti implica continuare a battersi, sempre, perché i diritti fondamentali dell’uomo vengano rispettati in ogni angolo di mondo, anche dove le persecuzioni religiose, razziali, di genere imperversano nel silenzio e col nostro beneplacito; dove le bombe continuano a cadere sui civili, dove le donne possono essere lapidate o arse vive, dove lo sterminio cosciente e progettato di un popolo non trova ostacoli sufficienti nelle missioni di pace dei governi democratici.
(Giovani Anpi Vallecamonica)