Distaso (Fiom): "Prematuro riaprire, bisogna pensare anche all'indotto delle grandi aziende"

Barbara Distaso, segretario Fiom Valle Camonica Sebino, negli ultimi giorni abbiamo letto che molte aziende si accingono alla riapertura, ben prima del termine delle misure restrittive fissato dal Governo. Qual è la situazione?
Molte fabbriche metalmeccaniche del nostro comprensorio resteranno chiuse anche la prossima settimana, ma è vero, ci sono aziende importanti che, invece, ripartiranno. Il Dpcm del 22 Marzo 2020, prorogato lo scorso mercoledì, ha sospeso tutte le attività produttive e commerciali non essenziali fino al 13 Aprile. Lo stesso decreto ha però dato la possibilità alle aziende di comunicare al Prefetto, con autocertificazione, il proseguimento delle cosiddette attività “di filiera” in qualche modo legate ai servizi essenziali e questo ha comportato che, anche sulle province di Brescia e di Bergamo, centri nevralgici della diffusione del Covid-19, diverse aziende in questi giorni abbiano deciso, proprio tramite comunicazione al Prefetto, di ripartire con le produzioni.

Una mossa unilaterale da parte dei vertici aziendali che prende in contropiede dipendenti e sindacati?
Ce lo aspettavamo in realtà. Non dobbiamo dimenticare che, nella quasi totalità dei casi, le aziende sindacalizzate del nostro comprensorio hanno chiuso prima dell’emanazione del decreto del 22 marzo e che, quindi, quella appena terminata è stata la terza settimana di chiusura. Sapevamo sarebbe stato difficile riuscire ad ottenere nuovamente che dappertutto si stesse fermi a rispetto una possibilità di lavorare che purtroppo il decreto governativo consegna alle direzioni aziendali. Per questo, per non farci trovare impreparati, nelle scorse settimane, abbiamo lavorato con i delegati sul tema della sicurezza, raccogliendo minuziosamente informazioni sulle operazioni di sanificazione degli ambienti di lavoro attuate durante il periodo di fermo produttivo e verificando punto per punto il rispetto delle prescrizioni previste dal Protocollo sulla salute condiviso tra le parti sociali.
Insomma, nelle grandi aziende sindacalizzate del nostro territorio, con qualche significativa eccezione, siamo riusciti a gestire la situazione con razionalità, concordando, dove non era possibile ottenere la chiusura, organici minimi e su quali commesse.
Il problema però, la ragione per la quale sarebbe stato comunque preferibile rimanesse ancora tutto chiuso, è che l’apertura delle grandi aziende comporta a catena l’apertura anche di una miriade di piccole aziende collegate sulle quali non abbiamo alcun controllo. E questo non lo sappiamo soltanto noi sindacalisti, lo sanno anche gli imprenditori. Quando parliamo di scelte etiche, quando diciamo che riaprire le fabbriche oggi significa riversare in strada e sui luoghi di lavoro centinaia di persone che sarebbe stato meglio restassero a casa, ci riferiamo anche a questo. E’ qui che sta il maggior rischio. Nelle aziende non sindacalizzate chi controllerà che la produzione effettuata sia solo quella ritenuta essenziale dal decreto e che i lavoratori non corrano alcun rischio per la salute?

Veniamo a quella che appare come la situazione più "calda": la Lucchini di Lovere.
Lucchini produce materiale rotabile e sostiene di poter lavorare in considerazione del fatto che il trasporto è un servizio essenziale. Negli ultimi giorni abbiamo chiesto e richiesto all'Azienda di non partire con la produzione, considerando il magazzino sufficiente per la garanzia dei ripristini ferroviari, ma non siamo stati ascoltati. Abbiamo allora chiesto, che, come avvenuto in altre fabbriche importanti, fossero fatti rientrare solo coloro che si sentivano in condizione di farlo, tenendo gli altri in cassa integrazione, ma neanche su questo siamo stati ascoltati. Sono stati questi i due temi su cui non abbiamo trovato accordo con l’azienda: la riapertura e l’obbligatorietà.
A me non piacciono le strumentalizzazioni.
Non è vera l’interpretazione che alcuni giornali hanno dato del nostro comunicato stampa, non è vero che non abbiamo concordato nulla in Lucchini sul tema della salute e della sicurezza, anzi. Gli RLS hanno fatto un lavoro egregio con l’azienda nelle scorse settimane e chi rientrerà al lavoro lo farà nel rispetto di quelle che sono le prescrizioni dettate in tema di sicurezza. Però vale tutto quanto ho già detto prima sul tema dell’indotto, su tutte le aziende che riapriranno a cascata dopo Lucchini e che noi non potremo controllare e che muoveranno tante, troppe persone, troppo prematuramente. Se è purtroppo vero che ci sarà una fase di convivenza con il virus, non va bene che questa fase inizi ora.

Ma ha senso, in un momento così critico, uno sciopero di 11 giorni?
Proclamare 11 giorni di sciopero serve per tutelare i lavoratori che altrimenti sarebbero costretti a rientrare, ma non se la sentono. Non è stata la prima scelta, è stata l’unica scelta che l’azienda ci ha lasciato. Chi conosce il mio modo di lavorare sa che non ho mai considerato lo sciopero un fine; se ricordo precisamente tutte le volte in cui in 10 anni di attività sindacale sono arrivata a proclamare uno sciopero è perché non lo prendo mai alla leggera, figuriamoci in un periodo così doloroso. Cercare un equilibrio in questa fase di emergenza è difficile, ma non impossibile. La nostra organizzazione è abituata a gestire situazioni difficili, le responsabilità non ci hanno mai spaventati. Certo è che un conflitto si risolve solo se tutte le parti interessate dimostrano di volerlo fare.

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