Disturbi alimentari, se guarire è questione di geografia

Non esiste ancora una pillola magica. Una caramella miracolosa che ingoi e, improvvisamente, il cibo e le emozioni smettono di essere un problema e tutto torna “come prima”. 
Non c’è una pozione che elimini la dispercezione corporea o i sensi di colpa, un vaccino che immunizzi contro le ricadute, che protegga dalla voglia di scomparire o dal bisogno di abbuffarsi. 
No, oggi il percorso di cura da un disturbo alimentare ha bisogno di una rete di professionisti che ascoltano, aiutano, non abbandonano. Ha bisogno di un sostegno costante, di centri specializzati e fondi in grado di farli funzionare al meglio. 
Eppure, la maggioranza in parlamento ha appena bocciato l’emendamento per rifinanziare il Fondo di contrasto ai disturbi del comportamento alimentare (dca). Dal personale ai progetti mirati per la sensibilizzazione e prevenzione, e poi i percorsi di sostegno alle famiglie, l’aggiunta di altri posti letto, i pasti assistiti: questi soldi sono fondamentali per mandare avanti i centri, per permettere alle persone di poter essere curate. Perché senza supporto, non può esserci nemmeno guarigione. 
Un dca non è l’influenza, non ti siedi aspettando che passi da sola, che l’analgesico faccia effetto, perchè questo non succederà. Il problema è che se chiedere aiuto è difficile, spesso lo è anche ottenerlo. 
Le strutture, infatti, sono poche e spesso devono coprire una vasta area del territorio, come nel caso della Valle Camonica: il centro di riferimento è quello dell’Ospedale di Esine, che copre tutta la Valle e l’Alto Sebino. E se i dca sono cresciuti soprattutto negli ultimi anni, con esordi sempre più precoci, non si può dire altrettanto per i finanziamenti e i servizi, lasciati da soli ad affrontare quella che è a tutti gli effetti un’emergenza. 
Lo scorso anno, il ministro della Salute Orazio Schillaci assicurava di finanziare il fondo con 250 milioni di euro per il biennio 2024-2025, in modo da garantire una copertura strutturale e non più temporanea ai centri. Ma così non è stato, di nuovo. Si, perché già un anno fa i finanziamenti avevano vacillato, le parole erano rimaste soltanto promesse e il ministro aveva deciso di non stanziare i 25 milioni che nei due anni precedenti erano stati destinati al contrasto dei dca. Poi erano arrivate le proteste, sia del personale di ppqueste strutture che delle persone che un dca l’hanno conosciuto da vicino, persone che sono guarite e altre che hanno perso qualcuno a causa di queste patologie, perché questo sono, non capricci o mode. 
«Non si sceglie di ammalarsi di disturbi alimentari, ma si sceglie di tagliare o meno i fondi». Un grido unico, arrivato dalle piazze di tutt’Italia aveva fatto fare dietrofront al Ministero che aveva deciso di stanziare 10 milioni. Delle briciole che Roma aveva deciso di destinare alle Regioni per aggiornare i Livelli Essenziali dell’Assistenza (Lea) e per adeguare i servizi alle richieste di aiuto, in costante aumento. Il contentino, per mettere a tacere il dissenso. 
Oggi siamo punto e a capo, con il voto contrario della maggioranza all’emendamento presentato da Marco Furfaro, deputato e membro della segreteria nazionale del Partito Democratico. Il fondo, invece, era stato istituito dal governo Draghi, su proposta di diversi partiti, con lo scopo di aiutare le Regioni e aggiornare i Lea. In questi anni, i finanziamenti hanno permesso di assumere oltre 780 figure professionali di tutt’Italia e sono stati una spinta per i centri che, in ogni caso, sono con l’acqua alla gola perché le richieste aumentano, così come le liste d’attesa per i ricoveri. 
Il privato è d’aiuto ma neanche troppo: i costi sono spesso esorbitanti e quindi accessibili solo a una minoranza. 
Le cure diventano, così, ancora una volta un privilegio. Ovviamente, a rimetterci maggiormente dal sottofinanziamento ministeriale sono - tanto per cambiare - le zone più periferiche, i territori marginali come, appunto, la Valle, che già non sguazza nell’oro e tanto meno nei servizi per il trattamento dei dca. Il centro di Esine segue i pazienti esclusivamente a livello ambulatoriale. E se serve il ricovero? C’è la psichiatria, se si è fortunati da trovare un letto, o la pediatria, se si tratta di minori. E la cura, ancora, diventa una questione di fortuna, di geografia, di trovarsi nella città giusta, con i servizi adatti e l’accesso assicurato. 
A differenza delle città, non si hanno alternative, non ci sono strutture private a cui bussare alla porta, non c’è niente, solo degli ambulatori in ospedale, chiamati a prendere sulle loro spalle l’utenza che dall’Alta Valle si estende fino al Sebino, con risorse esigue e mille difficoltà, dovute anche all’aumento della richiesta di aiuto che, dopo la pandemia, si stima sia cresciuta del 30% su tutto il territorio nazionale. Ma se il fenomeno riguarda a macchia d’olio tutto il Paese, non si può di certo dire lo stesso per l'adeguatezza della risposta sanitaria. Non si tratta solo di numeri, di cifre, di percentuali: sono storie, persone che si trovano in difficoltà e non trovano delle risposte, altre che non vengono prese in carico perché “non sono abbastanza magre”, quando ormai è un fatto noto che solo il 6% di chi soffre di un dca è sottopeso. Non ricevere il giusto sostegno, non riuscire ad accedere alle strutture, significa essere lasciati soli in una situazione non solo di difficoltà ma dentro a quello che assume a tutti gli effetti i connotati di un incubo da cui non ci si riesce a svegliare, di una gabbia, una prigione da cui non si riesce ad uscire. Una lotta continua contro se stessi che, a ora di sera, ti prosciuga le energie. Per questo serve il supporto giusto, i professionisti, le strutture, i finanziamenti. 

Maria Ducoli