Elezioni amministrative: le donne grandi assenti

Quante sono le donne nella politica camuna? Poche, ancora troppo poche, verrebbe da dire. Un'occasione per cambiare potrebbero essere le elezioni della prossima primavera, quando si voterà per rinnovare le amministrazioni di 26 comuni della Valle.
È presto oggi per sapere quali saranno le candidature, e dunque riflettere su quante donne e quanti uomini si presenteranno a ricevere il voto dei loro concittadini e delle loro concittadine.
Possiamo però vedere come era andata la volta scorsa (piccolo spoiler: non benissimo dal punto di vista della parità di genere).

Da dove vengono i nostri dati

Prendiamo come base di riflessione i dati dell'archivio di Eligendo (https://elezioni.interno.gov.it/opendata), dove il ministero dell'interno pubblica, in formato aperto, i risultati elettorali dal 1946 ad oggi.
Una piccola precisazione iniziale: la nostra base di dati riporta le informazioni solamente per chi si candida come sindaco o sindaca (e non per esempio per chi si candida nel consiglio comunale); inoltre, non riporta il genere della persona, ma solamente nome e cognome: se l'individuo sia maschio o femmina è quindi una deduzione di chi scrive. Non dovrebbero esserci casi ambigui, ma non si può escludere a priori. E già questo (la mancanza del dato nella nostra fonte) è spia del fatto che il problema della partecipazione femminile continua ad essere sottorappresentato.
Per chi si appassiona comunque, i numeri alla base di questo articolo si trovano in calce ai grafici.



Le donne sono il 13% della popolazione?
Dei 27 comuni della Valle che nel 2019 andarono al voto (nel 2019 votava anche Berzo Demo, dove tuttavia la consiliatura è finita in anticipo, e le elezioni sono state celebrate nel 2023), le donne candidate sindache erano 7 su 51 (il 13% del totale), tutte in comuni diversi.
Quindi, in circa un comune su quattro elettori ed elettrici potevano scegliere una donna come prima cittadina.
Se allarghiamo leggermente lo sguardo, in Provincia di Brescia votavano 147 comuni.
Su 324 candidature, le femmine erano 63 (19,44%). In 8 comuni della provincia, c'era più di una candidata femmina alla poltrona di sindaca: a Calcinato e Polaveno c'erano solo due candidate sindache, a Calvagese della Riviera, Capriolo, Pavone del Mella e Rodengo Saiano avevano 2 candidate e uno o più candidati; a Sirmione 3 candidate e un candidato.
In percentuale, i comuni in cui l'elettorato poteva scegliere una sindaca erano 54 (il 36%).
Dunque, in una situazione provinciale in cui le donne sono sottorappresentate, in Valle il fenomeno si aggrava.



 

 

Quanto piace la sindaca?
Andiamo a vedere i risultati.
Delle nostre sette candidate, tre sono state elette: l’11% del totale. Se volete un confronto, da uno studio del 2019 del Council of European Municipalities and Regions -CEMR (ccre.org), a livello europeo le sindache sono il 19% della classe dirigente locale (sindaci+sindache).
Per il nostro caso, si tratta di Marina Lanzetti a Ceto, con il 48,8% dei voti contro il 29,7 dello sfidante, Serena Morgani a Saviore dell'Adamello, con il 43,75% contro il 33,73% e Marzia Romano a Cerveno, che batte ben due candidati rivali ottenendo il 60,24% delle preferenze.
Sono percentuali più lusinghiere di quelle ottenute dalle sindache elette in provincia, che si attestano in media al 40,33%. I colleghi maschi ottengono di solito un maggiore apprezzamento, arrivando al 44,28%.
In linea generale, comunque, il genere della persona non sembra essere un fattore discriminante quando si arriva al momento del voto.
Qual è il problema allora?

"Ostacoli strutturali, sociologici e culturali"
Così li definisce lo studio del CEMR citato sopra: sono quelli che impediscono la piena parità nella partecipazione.
In particolare,i principali impedimenti vengono individuati nei seguenti:
1) Il processo di selezione delle candidature (“non vogliamo una donna, ma una persona competente”, che di solito, per chi afferma questo, è un maschio)
2) La fiducia nelle proprie capacità (“non sono abbastanza competente” è tipicamente un' affermazione femminile)
3) L' inerzia culturale (ad esempio la difesa dei “valori tradizionali” o della “famiglia tradizionale”, in cui la donna è a casa che stira)
4) Il rapporto vita/carriera politica (per cui ad esempio i lavori di cura sono appannaggio della donna)
5) I limiti nell' accesso alle risorse economiche e ai media (il classico cane che si morde la coda: le donne sono sottorappresentate nella società e quindi viene dedicato loro meno spazio su televisioni, giornali e altri mezzi di comunicazione).
Purtroppo quindi la soluzione appare complessa: difficile risolvere per legge la endemica assenza dei padri nell' occuparsi di figli e figlie (anche se qualcosa si può fare, vedi la proposta di congedo paritario).
Una strada indicata dallo studio è quella delle quote: non si può imporre che il 50% delle amministrazioni comunali sia guidato da una sindaca, ma si può sancire che “le liste devono essere composte almeno dal…” (mettete voi la percentuale, io farei 60% che dobbiamo recuperare) di donne. In Francia una norma simile esiste dal 2000 e sembra dare buoni frutti.
Allo stesso modo, sempre per norma di legge, si può imporre ai partiti che una certa percentuale delle candidature “di vertice” sia donna (esempio simile in Spagna).
Ci sarebbero anche i comportamenti volontari: in Italia il Partito Democratico ha una norma di statuto per favorire la parità di genere nelle istituzioni del partito… ma spesso nel passato è stata disattesa. Non è però una via da buttare: i paesi nordici, che non hanno quote di partecipazione femminile obbligatorie per legge, nel 2019 avevano comunque il 40% di membri delle amministrazioni locali donna (media EU: 29%) e il 28,2% di sindache (media EU:  25,4%).
La strada è lunga e in salita, comunque. Tanto per dirne una, la attuale prima cittadina di Brescia, Laura Castelletti, in campagna elettorale si definiva “sindaco”, a quanto pare su consiglio dei suoi spin doctor (maschile non a caso?), per i quali “sindaca” avrebbe spaventato l'elettorato…. Ahimè!


Ivan Faiferri