25 novembre: le istituzioni si illuminano di contraddizione

Bello, il 25 novembre. Una giornata ricca di iniziative, di panchine rosse e palazzi delle istituzioni illuminati. Bella, questa cosa delle luci colorate. Prima un colore, poi un altro, in calendario già quello successivo.
Bella l’intenzione, un po’ meno la contraddizione. Belle le istituzioni che il 25 sono contro la violenza di genere ma tutti gli altri giorni continuano a perpetrare i soliti meccanismi figli del retaggio patriarcale.

Quando si parla di violenza di genere si pensa subito ai tanti - troppi - femminicidi che ogni settimana accumulano le pagine di cronaca nera dei nostri giornali. Ma la situazione è più complessa, la violenza più sfaccettata. Diciamolo, alle ragazze che non è colpa del loro abbigliamento se vengono molestate, che andare in discoteca non significa andarsela a cercare. Diciamo loro che, purtroppo, gli episodi di violenza - tutti quelli in cui la donna non viene rispettata e diventa solo un corpo, un oggetto sessuale, colpevole della sua stessa sorte - sono più frequenti di quanto non si immagini, ogni volta che si esce di casa si deve sempre tenere alta la guardia, ma anche la testa.
E poi diciamolo ai ragazzi che le donne non sono degli oggetti e che di certo non sono di loro proprietà, che sul podio dell’orrore sta anche l’idea che una violenza possa essere dovuta ad un’incapacità dei maschi alfa di controllare i propri istinti davanti ad una minigonna. Non è questa a causare uno stupro, ma l’essere donna in una società misogina.

Non servono i minuti di silenzio nelle scuole, se dietro non ci sono vere riflessioni. Non servono se il resto dell’anno non viene fatto nulla per educare alla non violenza, al rispetto non solo delle donne ma dei generi, indistintamente. E la scuola è il primo ingranaggio del sistema, l’anello della catena che può fare la differenza, il trampolino di lancio per una società migliore.
L’Italia è uno degli ultimi Stati membri dell’Unione Europea in cui l’educazione sessuale non è obbligatoria nelle scuole, insieme a Bulgaria, Cipro, Lituania, Polonia e Romania. In Svezia è obbligatoria dal 1955, in Germania dal 1968, in Francia dal 2001.
Da noi un tentativo era stato fatto dal PC, poi dai Democristiani, più recentemente dal Movimento Cinque Stelle. Tentativi, appunto, rimasti tali. Sembra che nella scuola italiana non ci sia spazio per niente del genere. Dove la metti, l’educazione sessuale? Vuoi togliere posto al Petrarca o alle disequazioni? Vuoi togliere l’insegnamento di religione cattolica, forse? Follia.
Eppure, per quanto possa sembrare un argomento totalmente a sé, l’educazione sessuale e la violenza di genere non sono due pianeti di sistemi solari diversi. L’educazione al consenso è una responsabilità che la scuola ancora non si è assunta, ma che gli studenti chiedono.

 


 Le istituzioni si illuminano di rosso per la giornata contro la violenza di genere, ma sono le stesse che davanti alle denunce delle donne chiedono “e lei cosa ha fatto per provocarlo?”, le stesse che minimizzano, banalizzano, esitano. Le stesse che antepongono la legge sulla bigenitorialità al diritto alla vita dei bambini, che poi diventano altri nomi nelle pagine di cronaca nera, vittime non solo della furia omicida dei padri che vogliono colpire indirettamente le mogli, ma anche del sistema.