Onore pubblico alla memoria di ex internati militari a Malonno

Ci provo a scrivere qualcosa. Devo superare il riserbo di parlare di una vicenda che riguarda la mia famiglia. Mi aiuta il riconoscimento che si tratta soprattutto di un frammento di storia collettiva. 

Sabato 4 giugno sono state consegnate a Malonno 56 medaglie d'onore alla memoria di altrettanti ex internati camuni, finiti in campi di prigionia negli ultimi due anni della seconda guerra mondiale.
Tra i militari menzionati c'era mio padre, Domenico Moles, nato a Edolo il 26 febbraio 1923. 

Domenico era una persona schiva, di poche parole. Per lui contavano i fatti, il lavoro quotidiano che fa crescere, trasformare e migliorare gli ambienti di vita e lavoro. Le sue mani forti, la sua energia e il suo desiderio di futuro glielo consentivano. Nelle parole che ci scambiavamo, crescendo noi figli, non ci stavano i ripensamenti, le valutazioni di quanto era successo, il dolore sopportato, l'impegno per sopravvivere in condizioni proibitive. La parola guerra appariva talvolta  come estremo riferimento di fronte alle nostre intemperanze giovanili; ogni tanto sfuggiva qualche parola tedesca che ci faceva sorridere; indimenticato è il  suo motto: "Morire, non si morirà, ma patimenti assai".  Di quell'epoca gli era rimasto il nerbo del comando. Rassegnato di fronte ad una vita di sacrifici, come fosse un'ovvietà, guardava con disillusione e distanza alla grande storia, allo stato, alla retorica della politica che ignorava i costi umani, collettivi ed individuali, di chi aveva  umilmente partecipato alla costruzione di un'Italia libera e repubblicana.

Domenico Moles, orfano di padre, aveva cominciato a lavorare a 14 anni sostituendosi a lui nel trasporto di legname con carri trainati da muli.  Un fratello era partito per la campagna di Russia e di lui non si avevano più notizie. Fu poi dichiarato disperso. Chiamato alle armi nel settembre del 1942, fece parte dell'Artiglieria Alpina del Comando  Militare di Merano. E venne l'8 settembre del '43 con la firma dell'armistizio da parte dell'Italia: comandanti in fuga, nessuna direzione, esercito allo sbando, sganciamenti individuali nel tentativo di fare ritorno a casa. Domenico Moles fu catturato dai tedeschi, indiavolati per il voltafaccia dell'Italia, già il 9 settembre, dopo una notte passata in un fienile in un territorio fondamentalmente filotedesco.  Fu internato in Germania. Fu schiavo di un apparato di guerra che lo considerava nemico.  E solo il 2 agosto del 1945 fu rimpatriato. Lo attendevano la madre e il più giovane fratello Luigi.


Ci sono molti vuoti nella sua storia personale, che ora bruciano. Sarebbero preziosi i suoi ricordi. Sarebbe bello potere mettere al centro lui e il valore della sua storia personale. Ma tant'è. Possiamo comunque sopperire a questo silenzio e guardare alla storia collettiva degli internati militari, ormai documentata.   Dice Fabio Branchi, presidente dell'ANEI di Valle Camonica, durante la cerimonia: "Ci fu un'intera generazione di uomini che, nati e vissuti sotto il regime ed educati al mito della grandezza della Patria, plasmati fin da bambini agli ideali del fascismo e con una coscienza intrisa di odio e violenza, una volta venuti a contatto con nuovi orizzonti, opposero il loro No e preferirono una dura prigionia, anziché prolungare una guerra che avrebbe comportato altre distruzioni, altra violenza, altre morti". Quella degli internati militari italiani, che non accettarono ricatti, fu a suo parere una prima forma di Resistenza e fu importante per le sorti e la conclusione della seconda guerra mondiale. Onore quindi a questi giovani uomini che vissero in un'epoca tragica e, loro malgrado, furono degli eroi. Onore a Domenico Moles che disse No ai tedeschi. Mi piacerebbe oggi ragionare alla pari con lui sulle modalità e sulle ragioni di quel suo No.

Margherita