Elezioni a Darfo: se il cambiamento partisse dal linguaggio

Se le elezioni dello scorso 4 ottobre ci avevano fatto gettare uno sguardo su tutta la Valle, stavolta è tutt’altra storia. Quando Darfo è nella tornata elettorale, gli occhi sono tutti lì (Paspardo, Bienno, ci dispiace🙃). Ci piace sentirci cittadini per qualche mese, vedere le cose in grande come negli altri comuni non succede. Stavolta siamo pure progressisti, con due donne in corsa per diventare le future prime cittadine. Progressisti si, ma non troppo. E nemmeno inclusivi, visto il linguaggio che è stato utilizzato nella campagna elettorale. 

La strategia comunicativa è spesso la stessa: nome, cognome, prima ti dico lo stato civile e poi il lavoro che svolge, rigorosamente al maschile qualsiasi sia il genere della persona. Così Erica Pedersoli di Progetto Vero è una giovane architetto, Melania Molinari di La Civica è ingegnere, Irene Abondio di Uniti per Francesca Benedetti è consigliere. Ma prima di tutto, sono mogli, madri o sorelle. E stavolta vale anche per gli uomini che diventano mariti e padri. L’identità dei candidati si afferma tramite i loro rapporti sentimentali. Probabilmente vuole essere un modo per rassicurare gli elettori: se sono stati capaci di crearsi una buona famiglia sapranno anche gestire la cosa pubblica. Un single quarantenne è ovviamente un fallito, una donna senza figli lascia perplessi. 
Le liste sembrano aver adottato uno stesso format per la presentazione dei candidati. Così Emanuela Farisoglio in lista con Colossi viene presentata come una quarantatreenne mamma di una bambina di dieci anni, solo in un secondo momento sappiamo che è geometra. Di Maria Francesca Crea sappiamo subito che ha cinquantuno anni, “sposata e mamma felice di una figlia acquisita, zia di splendidi nipoti”. Poi scopriamo anche che è “avvocato civilista. Mediatore civile e commerciale. Impegnata socialmente sia come amministratore di sostegno delle persone fragili sia come tutore di minori”. Una sfilza di nomi al maschile. Su questo destra, sinistra e civica sono d’accordo: il femminile non si usa. Nemmeno per le due candidate sindache, Paola Abondio e Francesca Benedetti. 

 La Lista Civica ha sottolineato come abbia cercato una rappresentazione inclusiva di tutta la comunità inserendo, ad esempio, Amal El Ghifari nella propria squadra. Inclusività che, però, non sembra passare dai termini che vengono usati. L’importante è la sostanza, non la forma, si sente spesso dire. Ma è davvero così? La narrazione che facciamo è davvero meno importante dei fatti concreti? Il linguaggio non è un ornamento, ma uno specchio che riflette direttamente la cultura, l’individualità e la sensibilità di ciascuno. In questo caso, la forma è sostanza, perché i cambiamenti linguistici si riversano e sono a loro volta influenzati dai cambiamenti culturali.
Non usare i femminili per identificare le donne vuol dire, ancora una volta, mancare loro di rispetto non riconoscendole in quanto tali. Ci volteremmo se per strada qualcuno ci chiamasse con un nome diverso dal nostro? Potremmo riconoscerci nel nome di un'altra persona? Probabilmente no. E allora perché una donna dovrebbe sentirsi rappresentata da un nome di professione declinato al maschile?
É questione di prestigio, quello che il genere maschile si trascina da anni. Non è un fatto linguistico, ma culturale. Suona male? A volte. Fa strano? Spesso. I femminili continueranno a far storcere il naso finché non verranno utilizzati maggiormente. Solo usandoli entreranno nell’uso comune senza sembrare più una nota stonata del discorso. 
Nella campagna elettorale abbiamo visto donne che preferiscono essere nominate al maschile per sentirsi maggiormente riconosciute, per non fare le alternative, come a volte vengono definite le persone che semplicemente declinano i nomi a seconda del genere del referente che designano. 
Si sente continuamente dire che la questione dei femminili non sia importante, ci si concentra su dei dettagli perdendo di vista le battaglie vere. Quella del linguaggio è una battaglia vera.
Perché lo usano tutti, indistintamente. Perché nelle parole che scegliamo si colloca la rappresentazione che diamo a ciò che ci circonda, oltre che a noi stessi,
É una battaglia vera perché la lingua può delimitare il nostro mondo, ma anche aprirlo all’infinito.

Le liste in corsa alle prossime elezioni fanno a gara a chi rivoluzionerà la città, predicano gli ideali e invocano il cambiamento, eppure abbiamo le presentazioni dei candidati scritte facendo copia incolla dello stato civile e le donne che si autodefiniscono sindaco. La rivoluzione dovrebbe passare anche dal linguaggio. Wittgenstein diceva che i limiti del linguaggio sono i limiti del nostro mondo, si tratta sicuramente di un mondo maschile. Oltre non vediamo. 

Maria Ducoli