L'INVALSI discrimina tra studenti di paesi diversi?

 L'Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione (INVALSI) è l’ente che annualmente effettua una rilevazione nazionale «sugli apprendimenti delle alunne e degli alunni in italiano, matematica e inglese», attraverso dei test standard su alcune classi-filtro in tutte le scuole italiane (2° e 5° anno delle scuole primarie e delle secondarie di secondo grado e 3° anno della scuola secondaria di primo grado).

Secondo l’INVALSI, queste rilevazioni assicurano «la lettura oggettiva dei contesti» ovvero valutazioni comparabili al di là delle differenze socio-economiche e territoriali delle singole scuole, delle classi e delle/degli studenti.

Sono le famose e famigerate «prove INVALSI», che quest’anno si svolgeranno tra marzo e maggio. 

 Strumento contestato da anni («mostruosità che non premiano chi ha spirito critico», nelle parole di Luciano Canfora), sono però difese da chi le ritiene «[l’]unico sistema nazionale mirante a comparare le competenze acquisite dagli studenti nelle diverse scuole (diverse per dislocazione territoriale, tipologia ma anche, semplicemente, perché lasciando immutato il resto, in alcune ci sono docenti migliori)» (glistatigenerali.it).

Per il 2022, tuttavia, le prove INVALSI si macchieranno di una specifica, e odiosa, discriminazione, a danno degli e delle studenti provenienti da paesi stranieri… o meglio, da alcuni paesi stranieri.


C’è NAI e NAI
Infatti, gli studenti e le studenti fuggiti dall’Ucraina, che in queste settimane hanno iniziato ad arrivare anche nelle scuole della Valle, non dovranno sostenere queste prove. Effettivamente, per ragazze e ragazzi (e bambine e bambini) che non parlano l’italiano, o ne conoscono appena qualche parola, sarebbe molto difficile affrontare questi test assicurando «l’oggettività dei contesti».
Come per molte altre cose, la scuola ha una sigla per definire questa condizione: si chiamano «NAI», nuovi arrivati in Italia. Gli alunni e le alunne NAI si identificano appunto per non essere «italiofoni», secondo il linguaggio del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca.
Un documento del 2015 (‘Diversi da chi’, a cura a cura dell’Osservatorio nazionale per l’integrazione degli alunni stranieri e per l’intercultura del Miur trasmesso con nota MIUR 9.9.2015 Prot. n. 5535) raccomanda di «accompagnare i passaggi, adattare il programma e la valutazione».
L’INVALSI quindi fa bene ad escludere gli e le studenti provenienti dall’Ucraina dai suoi test: peccato che invece, studenti che vengono da tutto il resto del mondo, e anche da situazioni di conflitto altrettanto sanguinose e feroci, come la Siria o l’Afghanistan, debbano affrontare senza alcuna deroga le medesime prove.


Un ‘doppio standard’ europeo?
Interrogato in proposito (1 aprile 2022), l’istituto afferma di avere provveduto alla deroga accogliendo «lo spirito di quanto espresso nella Nota del Capo dipartimento del sistema educativo di istruzione e di formazione (prot. 0000381) del 4 marzo 2022», dove il ministero raccomanda di «tenere conto della particolare condizione di fragilità di ciascuno degli esuli accolti, determinata dallo sradicamento dalle proprie comunità e, in più di un caso, dall’allontanamento da uno o entrambi i genitori».
La domanda sorge spontanea: la fragilità riguarda soltanto chi viene da Kiev e non, per esempio, da Damasco? Oppure, come riteniamo più probabile, si tratta dell’ennesima manifestazione del «doppio standard» che, a livello europeo, stiamo applicando ai profughi a seconda del paese da cui provengono (e, probabilmente, del colore della loro pelle)?
Non è un mistero che la commissione europea abbia riservato un trattamento particolarmente favorevole agli e alle esuli ucraine. E questo, è da sottolineare, è un bene: allelujah, era ora!
Perfino i sindaci della Lega, rimangiandosi anni di propaganda anti migranti, hanno aperto le loro porte ai profughi extracomunitari (purché ucraini, si intende).


Una discriminazione rivelatoria
Da un lato, tutti i discorsi degli anni passati, sul fatto che fosse impossibile «accogliere tutti», finiscono per rivelarsi per quello che erano: inutile propaganda.
Dall’altro, tuttavia, c’è il rischio che l’attuale slancio solidaristico nei confronti della popolazione ucraina finisca per dare la prova del razzismo sistemico che permea la nostra società. Il popolo ucraino, sì, quello siriano, afghano, eritreo, no. Ricordiamolo: gli Ucraini parlano una lingua diversa, praticano una religione diversa, eppure qualcuno, anche nelle istituzioni, li ritiene «più simili a noi». Perché? A chi legge la risposta.
In questo quadro, la scelta dell’INVALSI è solo la prova provata del discorso, con tanti saluti alle «specifiche azioni di sostegno» e alla attuazione dei «diritti socio-educativi» prevista (a parole) dal Ministero per «alunne e alunni provenienti da contesti migratori», indipendentemente dal colore della loro pelle (Orientamenti interculturali. Idee e proposte per l’integrazione di alunne e alunni provenienti da contesti migratori, marzo 2022).


Ivan Faiferri

 

Credits: Fotografia di Annie Spratt su Unsplash