Quei professori che non desideravano fare i burocrati

Settembre, il mese delle cose che iniziano. Del profumo di cancelleria nuova e delle giornate che si accorciano. Oggi il fatidico suono della campanella rianimerà le scuole, i corridoi ricominceranno ad ascoltare chiacchiere e confessioni, le sedie percepiranno l'irrequieto agitarsi di chi non ha studiato e teme l’interrogazione, le lavagne torneranno a sporcarsi. Tornare in classe porta sempre con sé una buona dose di emozione: ogni anno c’è un primo giorno e dopo quasi due anni scolastici in DAD, la trepidazione è maggiore. Insegnanti e alunni hanno sofferto la lontananza, la luce azzurrognola dello schermo che faceva apparire tutti più malaticci e stanchi. 

 Le norme ministeriali per contrastare il dilagare della pandemia nelle scuole hanno delle sfumature diverse, eppure le aule sono sempre quelle. Sempre sovraffollate. Si stima che le classi pollaio - quelle con più di 26 alunni - in Italia siano 13.761 sulle 365.000 totali. Una scatola di sardine in via di sviluppo. 

Le disposizioni parlano chiaro: il distanziamento è da mantenere ove possibile e nel caso in cui non si riuscisse ci si affida alle mascherine. E ai miracoli, forse. In classi così piene, non solo viene meno il sacrosanto metro - o metro e mezzo - tra un banco e l’altro, ma anche la qualità della didattica. Seguire 30 studenti, ciascuno con difficoltà, esigenze e livelli diversi non è la stessa cosa di seguirne 20. 

Quest’anno sono forse gli insegnanti ad essere i più emozionati all’idea di poter tornare a guardare negli occhi i loro studenti, usciti dai pigiami per trasformarsi come per magia in ragazzi e ragazze in carne ed ossa, jeans e Nike. La frustrazione non ha risparmiato anche i professori più motivati, provati dal trovarsi in aule vuote, a parlare ad una serie di quadratini neri. Mi sentite? C’è qualcuno lì dietro? Informazione non pervenuta.

  Spostarsi, da una classe inanimata all’altra con le sedie sopra i banchi e il disinfettante sulla cattedra. E in corridoio incontrare di sfuggita colleghi diffidenti, «ci si evitava, alcuni si appiattivano alle pareti e scivolavano via velocemente» racconta qualcuno. 

La stessa diffidenza veniva rivolta anche agli studenti: come fare a fidarsi delle verifiche e interrogazioni in DAD? Botole del suggeritore, post-it sul muro, appunti messi come sfondo del desktop: l’arte del copiare è un pozzo senza fine. E allora nessuno si fidava più di nessuno. «Sono contenta di tornare a scuola, almeno la smetteranno di pensare che leggo durante le interrogazioni» ammette una studentessa.
Anche l’infinita burocrazia e le mille riunioni non fanno che aumentare l’esasperazione degli insegnanti. I collegi docenti online diventano dei proforma, nessuno che interviene, nessuno che dice la propria, provando a contrastare l’opinione generale che - si sa - non è sempre la migliore. Le scartoffie non fanno che accumularsi nei cassetti dei professori: si deve programmare, sottoscrivere, registrare, definire, approvare. Si dovrebbe anche insegnare, se ci fosse del tempo.