Calciatrici per scelta. L’allenatore Oreste Bettoni racconta il Rondinera

Questo articolo fa parte di una serie, dedicata al calcio femminile in Valle Camonica. Qui trovi le altre puntate.

Settembre ha il rumore delle cose che iniziano. La scuola, le attività extrascolastiche. Ogni anno la distinzione è la stessa: i bambini il calcio e le bambine la danza, facile, no? E se qualcuno prova a suggerire il contrario, i genitori scuotono la testa imperterriti. «Il calcio? Ma sei matta?» 

Eppure, queste bambine che desiderano correre dietro ad un pallone, non sono matte. Solo motivate. Lo sottolinea anche Oreste Bettoni, allenatore della squadra femminile del Rondinera.
«I maschi molte volte vengono iscritti a calcio sulla scia del retaggio culturale. Vanno perché è la prassi. Mentre nelle bambine c’è più motivazione:sono loro a voler giocare, e spesso arrivano in campo solo dopo anni di persuasione nei confronti dei loro genitori. Ci credono davvero». Che la vita sia una continua lotta, lo si impara da piccole. Le rigide classificazioni che la società ci impone sono delle gabbie e più si è giovani e più appaiono incomprensibili. Oreste Bettoni continua, spiegando come nelle squadre femminili emerga una solidarietà maggiore rispetto a quelle maschili. «I bambini non passano il pallone alla schiappa di turno, cercano il compagno bravo e spesso escludono l’altro. Nelle squadre femminili, quando ci sono delle difficoltà, le altre si uniscono: sopperiscono le carenze e i problemi si superano insieme». Più unione, più cooperazione tra quelle giocatrici per scelta.

Il Rondinera è nato nel 2012, inizialmente le bambine erano poche, sono cresciute man mano. Poche come le squadre di calcio femminile del territorio, un numero così ridotto che la squadra allenata da Bettoni all’inizio ha giocato contro i ragazzi. Le differenze di genere sono scese in campo, da una parte la norma e dall’altra la sovversione. Sì, sono solo dei bambini, ma l’infanzia è quel periodo in cui gli stereotipi appaiono più lampanti perché i genitori riversano il proprio retaggio culturale sull’educazione dei figli. Partendo dai grembiulini azzurri e rosa all’asilo. 
La squadra ha poi potuto giocare contro altre formazioni femminili, grazie a degli accordi con l’AlbinoLeffe e con il Brescia. Così quel gruppetto nato quasi per una scommessa è arrivato ai tornei con la serie A, ottenendo dei buoni risultati. 

Ma com’è allenare una squadra femminile, fare l’allenatore è diverso rispetto a quello delle formazioni maschili?
«Totalmente. Con le ragazze sono necessari tatto e dolcezza, se per spronare un bambino posso alzare la voce ed essere più duro, questa tecnica non funziona con le femmine. Anzi, posso star sicuro che le perdo».
Bettoni nasce come allenatore di squadre maschili, ha cambiato solo dopo e ha capito subito che era necessario reinventare i propri modi e approcci per il bene della squadra. Non solo, ha cercato anche di farlo capire anche agli altri, organizzando una serie di incontri formativi per allenatori e genitori con una psicologa. 

«Lo sport è un momento educativo. Ma dev’esserlo anche per chi sta dietro alle bambine, chi non è in campo».
Sono proprio le famiglie lo scoglio principale con il quale Bettoni deve scontrarsi. Rapportarsi a loro è complesso, c’è chi pensa di delegare l’intera educazione delle figlie e chi vuole insegnargli a fare il suo mestiere. «Serve alleanza tra la famiglia, l’allenatore e la parrocchia. Senza una rete è davvero difficile».
Oltre alla rete - figurata e fisica che sia, servono entrambe - l’altro problema riguarda il campo. «Le donne usano campi con le metrature per gli uomini, se avessero dei campi idonei sarebbe più avvincente». Ancora una volta, quindi, è il gentil sesso a doversi adattare. Ad indossare un vestito più largo, che sicuramente non agevola il movimento. Sembra quasi che le squadre femminili siano considerate squadre di serie B, una sbavatura di quelle vere, un disegno che stona. 
Non esita, Oreste Bettoni, quando gli chiedo se il calcio sia considerato uno sport per soli maschi. Magari esagero, magari sono io che vedo stereotipi dove non ce ne sono. E invece lui è fermo e deciso: «Sì, decisamente. I genitori fanno di tutto per far cambiare idea alle bambine, non lo accettano. Non possono».

Maria Ducoli

Un'inchiesta sul calcio femminile
"Ma da quando le femmine giocano a calcio?". Forse anche a te sarà capitato di sentire questa domanda. Graffiti ha deciso di approfondire l'argomento con una serie di interviste a giocatrici, arbitri, allenatori/allenatrici, dirigenti che si occupano di calcio femminile in Valle Camonica. È un mondo complesso, che lotta contro il pregiudizio. Ma sono anche storie di sport e di donne che affermano in questo modo la loro passione, la loro determinazione, la loro indipendenza. Sì, le femmine giocano a calcio, e spesso anche meglio dei colleghi maschi.