Boccioli appassiti: quei giovani che vogliono morire

Abbiamo un problema, dobbiamo ammetterlo. Dati e statistiche non lasciano spazio a dubbi: i tassi di suicidio sono aumentati con la pandemia. Quelli giovanili hanno subito un incremento notevole. A dirlo è Stefano Vicari - primario dell’unità operativa di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza dell’ospedale pediatrico di Roma - che ha spiegato come dopo la prima ondata del Covid, sia stato registrato un aumento di ricoveri del 30% circa. A L’Espresso ha spiegato, infatti, che «è anche a causa del Covid-19 e di questo periodo se sono aumentati atti autolesionistici e suicidari che hanno segnato una crescita di disturbi mentali sia nei ragazzi che nei bambini».
Infanzia, adolescenza e giovinezza dovrebbero essere il periodo in cui vengono piantati dei semi che poi si tramutano in fiori, il momento nel quale dai bozzoli si sprigionano farfalle e i sogni si fanno man mano più concreti e raggiungibili. Ora, lettore, immagina cosa succede se al tuo fiore togli acqua e sole, se stringi troppo il bozzolo. Se tagli le ali alla tua farfalla. Il risultato – non serve dirlo – è distruttivo. Boccioli appassiti prima ancora di fiorire, creature private della possibilità di volare. 
Gli effetti delle chiusure dettate dalla pandemia cominciano a mostrarsi in tutta la loro drammaticità. Attacchi di panico, disturbi alimentari, autolesionismo, sono alcune delle problematiche affiorate e aggravate negli ultimi mesi. Non sono capricci e dovremmo smettere di considerarli come tali, di liquidare i giovani con un “sei fortunato, pensa a chi ha perso il lavoro”. Fortunati rispetto ad altri, sfortunati rispetto a loro stessi e alla vita che altrimenti avrebbero potuto condurre. Non tutti, infatti, vivono in un ambiente familiare sereno, e le restrizioni li hanno spesso privati dei punti di riferimento che avevano trovato all’esterno. 
Non pensare, lettore, che queste situazioni affliggano solo i giovani cittadini, o quelli che vivono in contesti particolarmente disagiati: la Valle non è immune alla sofferenza dei più piccoli. C’è Marta che un giorno ha smesso di mangiare: «l’alimentazione è l’unica cosa sulla quale potevo esercitare un controllo», Marco che si lava le mani compulsivamente e non vuole più giocare con i suoi compagni di classe, Claudia che non si ricorda più come si faccia a stare con gli altri e preferisce starsene al sicuro nella sua stanza. E poi c’è Anita, che un giorno di tarda primavera ha deciso di voler morire. Nomi dietro ai quali si nascondono occhi tristi e sorrisi accennati. Nomi che non possiamo ignorare. 

Paolo Erba ci conferma i dati preoccupanti: lavorando nelle scuole si è accorto lui stesso dei danni legati alle misure restrittive. Le ha viste con i propri occhi, le lacrime dei ragazzini quando fu detto loro che dal giorno dopo non sarebbero più tornati a scuola. «Gli attacchi di panico non erano quasi mai arrivati alle medie, prima d’ora. Ho assistito ad un aumento delle chiusure sociali, di fobie e ansie. Sono le emozioni trattenute che stanno esplodendo». 

Stiamo assistendo ad un’esplosione silenziosa, un grido sordo e disperato, come quello emesso da Anita prima di compiere il suo gesto estremo, da Marta ogni volta che si siede al tavolo. Le nuove generazioni hanno imparato ad urlare tenendo le labbra ben serrate tra di loro, per non disturbare. Non possiamo ignorare i fiori che si schiantano al suolo, le farfalle che non riescono più a volare.
                                                                          Maria Ducoli

                            
Dove chiedere aiuto
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