Un lavoro di ricostruzione approfondito e inedito, che aiuta a fare i conti col passato

Titolo: Il nazista e il ribelle - Una storia all'ultimo respiro
Autore: Andrea Cominini
Editore: Mimesis Passato Prossimo


Il libro di Cominini è complesso; ed è una notazione positiva.

Una casa che è una vecchia segheria. Il ruscello che muove la ruota per tagliare i tronchi. Un nonno che recita la parte del burbero e narra storie di un passato pieno di pericoli e soldati che parlano una lingua incomprensibile. Nella mente del bambino il luogo, il nonno e i suoi racconti prendono una dimensione epica. Due nomi storpiati nel dialetto restano in testa: Móha e Marao. Da qui nasce una ricerca che giunge a risultati che vanno oltre le aspettative dell’autore stesso. La pluralità delle fonti orali, la disamina dei documenti di archivio con lo sfruttamento ad alto livello delle tecnologie informatiche, la padronanza del tedesco, la conoscenza della bibliografia sull’argomento hanno prodotto un lavoro che mette in discussione conclusioni affermatesi da tempo. Il piano della soggettività dell’autore non diventa mai una lente che distorce quello della ricostruzione storica: essi si illuminano a vicenda ponendo il lettore alle spalle del ricercatore, nella sua officina.

Si parla della storia della Resistenza di una valle alpina, ma la ricerca non ha nulla di localistico, di “storia patria”: ricostruisce meccanismi, comportamenti e pratiche che hanno significato e valore universali.

Due sono gli attori principali, il nazista e il Ribelle. La pubblicistica locale sulla Resistenza parla di entrambi, ma in una narrazione epicizzante, tipica per vicende filtrate dalla memoria e dal racconto orale. Cominini ha cercato negli archivi italiani, ha letto, ha parlato con i compagni, i conoscenti, i parenti di Móha, il Ribelle. E fin qui è prassi abbastanza normale. Ma ha anche cercato chi conosceva l’altro, il maresciallo tedesco Maraun (il Marao del nonno): ne ha trovato la figlia e i compagni di vita militare, ha scavato negli archivi tedeschi e di paesi dell’Est; e questo pochi l’hanno fatto. Così è riuscito a ricostruirne la figura al di là delle immagini stereotipate del “Tedesco” crudele che la popolazione locale ricorda. È emersa la dimensione privata di un uomo colto, amante del bello, padre e marito affettuoso che ha fatto proprio fino in fondo il nazionalsocialismo e ne ha applicato le direttive più crudeli con quello scrupolo e con quella freddezza burocratica che ha fatto nascere la categoria interpretativa della “banalità del male”, esattamente come molti grandi gerarchi nazisti. Ha agito di conseguenza fino all’ultimo giorno, anche quando era consapevolezza di tutti che la guerra era perduta con una disfatta totale.

Non è stata una ricostruzione facile perché le testimonianze sono reticenti, a volte frutto di pietose bugie (come le informazioni date dalla figlia basate sui racconti edulcorati se non falsi della madre) oppure mirate a presentare come limpido il proprio passato da parte di ex ufficiali tedeschi. 

L’analisi dei fatti inerenti la cattura e la morte del maresciallo presenta un indubbio interesse ed è destinata ad aprire discussioni. Certamente la folla che lo ha ucciso aveva più di un motivo di giusto rancore, dato il ruolo che egli aveva avuto nella repressione. Ma in quella folla c’era anche chi aveva interesse che Maraun non svelasse la rete dei collaboratori italiani con cui era in contatto e di cui era di fatto a capo, data la sua posizione al vertice dell’intelligence tedesca in loco. È un punto su cui la storiografia ha taciuto accontentandosi del Tedesco “mostro” a fianco e in contrasto degli Italiani “brava gente”. Non è proprio così, i capi partigiani ne erano consapevoli, ma ci si è messo una pacificatoria pietra sopra: l’analisi delle versioni successive del testo che ricorda l’uccisione del partigiano Bigatti ora sulla lapide della piazza di Esine è esemplare.

Se non poche testimonianze tedesche mostrano che non si sono fatti i conti con il passato, a volte con una nota vittimistica per quanto subito durante o in conseguenza della guerra, anche molti Italiani, e molta storiografia, non hanno fatto i conti con responsabilità gravi o li ha fatti falsi, negando e mascherando. Dopo questo libro l’operazione è più difficile.

Gianfranco Bondioni (da Graffiti n. 306, marzo/aprile 2021)