Don Tarcisio e Fausta: viva i nostri Commendatori!

"Per aver dedicato la loro vita, in ambito internazionale, alla cura, tutela e istruzione di bambini orfani e con disabilità": con questa motivazione il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha insignito Don Tarcisio Moreschi e Fausta Pina dell'onorificenza di Commendatori dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana. Un grande onore per due camuni che i nostri lettori hanno tante volte incontrato  sulle nostre pagine. Congratulandoci con Don Tarcisio e Fausta, pubblichiamo qui tre pezzi tratti dalla storia trentennale di Graffiti: i due ritratti a loro dedicati, rispettivamente nel 2001 e nel 2018, e la prima corrispondenza del nostro Maurizio Gino Morandini da Ilembula (a proposito: buon viaggio di ritorno in Italia!).


Don Tarcisio

Definire Tarcisio non è facile né per me né per tanti altri. Qualcuno lo chiama il “don”, qualcuno semplicemente Tarcisio, altri il Moreschi, altri ancora dicono che sia un missionario. Non è l’appellativo che conta in lui, ma quello che è e che fa.

Tarcisio Moreschi prende i voti sacerdotali in età adulta, più in là dei suoi coetanei per intenderci, è quindi un prete, ma il prete non l’ha mai fatto, almeno nei termini tradizionali. Parte per l’Africa, la parrocchia più grande che ci sia. Malonno è troppo piccola per lui che è nato e cresciuto a Loritto. Ha bisogno di spazi ampi.

É dapprima sulla costa centro orientale dell’Africa, ma non si trova sempre bene con quei vecchi bacucchi di missionari veri e propri. Lui preferisce lavorare con i contadini. Insegnare qualcosa su come far rendere la terra, come l’ha visto fare nel dopoguerra lassù sulle coste del suo paese, insegnare per renderli indipendenti, liberi. E proprio questo gli procura l’espulsione da uno di questi staterelli dell’Africa centrale: troppo sovversivo.

Va nello Zaire, la sua parrocchia è grande come la Lombardia; impiega un mese a fare il giro dei parrocchiani. Ogni tanto prende la malaria e dimagrisce di venti chili e così torna in Italia a farsi curare. In un paio di mesi li rimette tutti. Già che è qui parla con il vescovo, chiede una parrocchia altrettanto grande, per non finire prigioniero di quattro vecchine che vanno a rosario la sera al buio. Ma l’accordo con l’autorità non c’è mai. E lui ritorna in Africa, sempre in posti nuovi.

Adesso è in Tanzania. Legge Graffiti, è il nostro lettore più lontano ed uno dei più affezionati. Ne siamo onorati. É partito dal nulla un’altra volta. Ha potuto contare sugli amici dell’alta valle, quelli che sono scesi fin laggiù a fare il muratore, l’idraulico, l’elettricista, l’infermiere, il bocia, per costruire una casa ed una infermeria. Sta costruendo adesso anche un orfanotrofio.

Gli hanno rubato più volte in casa, con armi da fuoco. Gli hanno sparato ad una mano. L’hanno minacciato. Ma non molla. Tarcisio è appena rientrato al suo villaggio. Porta con sé denari e materiale vario, che serve per mantenerlo, perché loro, gli africani, devono imparare a mantenersi da soli, a non aspettare i regali e la beneficenza dei bianchi europei. Per lui ogni uomo deve avere una dignità e deve lavorare per mantenersi decorosamente senza dipendere dagli altri. É anche questione di libertà.

Non l’hanno spaventato le fucilate, continua nella sua opera di portare un senso alla vita, laddove la fame viene prima dell’anima. Sostiene, ed a ragione, che a pancia piena anche la parola del Signore si ascolta meglio. E la sua è una religione fatta di cose semplici.

La Valcamonica gli sta un po’ stretta. E i tempi sono cambiati da quando scendeva a scuola a Malonno dalla sua frazioncina. Non si ritrova più in mezzo a questi pantofolai, dediti alla televisione ed alle macchine di ogni tipo. La sua Africa ogni tanto lo chiama e lui risponde sempre. Graffiti è anche un contatto tra noi e lui. Ciao, Tarcisio.

Guido Cenini (da Graffiti n. 91 - Febbraio 2001; fotografia tratta dal sito dell'associazione Pamoya Onlus)


Fausta

Tre le vite vissute da Fausta. Nata ad Andrista di Cevo, trascorre i suoi primi anni di vita come la maggior parte delle ragazze dei piccoli paesi della Valcamonica: scuola e piccole incombenze atte a svilupparne il senso di responsabilità cui le famiglie di allora attribuivano grande importanza. Poi l’Istituto magistrale, concluso il quale ha inizio la seconda vita della giovane Fausta: insegnante sempre a contatto con i più piccoli fino al giorno della pensione. Infine, ancora prima di visitarla, Fausta é colpita dal “mal d’Africa”: nessuna malattia intendiamoci, ma una sindrome fatta di sensazioni ed emozioni che contagia chi dell’Africa si innamora. Ha così inizio la sua terza vita.

Dopo un primo impegno in Kenia, nel 1994 si trasferisce in Tanzania dove già opera il camuno don Tarcisio, reduce da altre esperienze in diversi Paesi africani. Le attività cui dedica tempo ed energie sono soprattutto quelle di carattere educativo ed assistenziale. Sono 69 le scuole materne, con 143 maestre da retribuire, frequentate da 3.363 bambini (frequenza dell’88/90%) ai quali si garantiscono aule e materiale didattico. Nei due Centri Orfani di Ilunda e Illembula sono 176 i bambini assistiti da 48 operatori retribuiti.

In un territorio dove mancano strutture per bambini svantaggiati (tanti sieropositivi o portatori di handicap), i due centri rappresentano delle eccellenze sia per il modello educativo che per l’ospitalità. Vi sono inoltre più di 300 studenti esterni che, non avendo sufficienti risorse per proseguire gli studi, vanno aiutati nel sostenere i costi di rette, trasporti, divise, materiale scolastico, medicine e vestiario. Ogni mese Fausta e i suoi collaboratori organizzano la distribuzione del “kit mensile” (alimenti essenziali, medicine, vestiti, coperte, oggetti per la casa e aiuti per il ricovero in ospedale che qui è a pagamento) a 263 nuclei famigliari, ammalati, anziani. Oltre a tutto questo, Fausta deve sobbarcarsi il lavoro di informazione sulle adozioni a distanza e su tutto quanto viene realizzato con i contributi che tanti sostenitori fanno pervenire.

Poi qualche volta trova anche il tempo di qualche fugace capatina nella natia Andrista.

Valerio Moncini (da Graffiti n. 277 - Gennaio 2018)


Prime notizie dal nostro corrispondente in Africa

Probabilmente qualche lettore di Graffiti ricorderà di essersi imbattuto, in questi anni, in qualche “breve” dalla Tanzania, notizie inviate da don Tarcisio Moreschi, originario di Malonno, che molti di voi certamente conosceranno.

Da circa due settimane (nel momento in cui scrivo, mercoledì 3 ottobre 2012), mi trovo a Ilembula, nella regione di Iringa. Oltre a don Tarcisio, nella missione ho incontrato Fausta Pina, di Andrista; entrambi operano in questa zona ormai da quasi vent’anni, e sono innumerevoli i progetti a cui hanno dato vita, e molti altri ne hanno in cantiere. Per me, alla prima esperienza africana, con le ovvie difficoltà dovute all’approccio con la lingua swahili, è stato sicuramente d’aiuto essere a contatto con dei conterranei: tra le altre cose, fa piacere, ogni tanto, sentir parlare il dialetto camuno, è come sentirsi un po’ a casa, un modo per annullare, almeno virtualmente, la distanza che mi separa dall’amata terra natia.

Entrare in dettaglio in tutto ciò che fanno don Tarcisio e Fausta, in un solo articolo, è cosa che va al di là di ogni capacità di sintesi; è davvero vasta la mole di lavoro che grava sulle loro spalle. Se la redazione di Graffiti lo riterrà opportuno, potrei mensilmente trattare in modo un po’ più approfondito i vari progetti realizzati, in modo da fornire a chi è interessato un quadro il più possibile completo di questa missione e di ciò che gravita intorno ad essa.

Per ora, invece, mi limito ad alcune impressioni personali, ovviamente parziali perché maturate in un periodo ancora troppo breve. Fin dal primo giorno ho trovato un clima ospitale; la casa della missione è ben curata, e tutti coloro che in qualche modo ci gravitano si sono dimostrati bendisposti ed accoglienti. D’altronde queste sono caratteristiche comuni a tutta la popolazione; ciò rende più facile ambientarsi, perché le persone si dimostrano disponibili, pazienti, inclini a stringere rapporti, estremamente cortesi ed educate. Un’altra caratteristica che colpisce è l’allegria che i tanzaniani mettono in tutto ciò che fanno, anche i lavori più faticosi e sfiancanti, la serenità con cui affrontano le avversità che, vi garantiscono, qui sono parecchie. Certo esiste anche l’altro lato della medaglia, ma adesso preferisco concentrarmi sugli aspetti positivi di questa nuova vita. Ci sarà tempo per affrontare, e raccontare a voi, la povertà, la miseria, gli impedimenti e le difficoltà che pesano come macigni su questa popolazione, e che rendono il modo di vivere e di pensare così diversi da ciò a cui siamo abituati.

Io intanto sono sempre più convinto di aver fatto la scelta giusta; nonostante le giornate siano lunghe e spesso faticose, la serenità di chi ho intorno mi ha contagiato. Ho perciò deciso di non prendere il volo prenotato per dicembre, ma di rimanere qui a tempo indeterminato. Comunque i contatti con la valle riesco a mantenerli, ed uno di questi spero possa essere lo spazio su questo giornale, un filo diretto che permetta a voi di avvicinarvi alla missione di Ilembula e a me di sentirmi un po’ a casa. Scrivere a voi, e sentir parlare il dialetto camuno: sarà come se non fossi mai partito.

Maurizio Gino Morandini (da Graffiti n. 219 - Ottobre 2012)