L'aria di città non rende liberi

La notizia della settimana: selezionata e commentata da Graffiti.
Questa settimana:  

"Brescia e provincia diventino zona gialla: i sindaci bresciani oggi dal Prefetto. Masneri scrive ad Alghisi" (https://www.vocecamuna.it/brescia-e-provincia-diventino-zona-gialla-i-sindaci-bresciani-oggi-dal-prefetto-masneri-scrive-ad-alghisi/, 5 novembre 2020) 

 

Broletto, salone dei cavalieri: i cavalieri sconfitti porgono
omaggio alla città di Brescia (ci sono anche alcuni camuni)

 

Siamo uno stato federalista, come voleva un tempo la Lega? O siamo uno stato regionalista, come scrivono i manuali di diritto? La Repubblica «riconosce e promuove le autonomie locali» dice la Costituzione (art. 5) ed è costituita «dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato» (art. 114).

Eppure, a guardare il DPCM di recente emanato, l’impressione è che non abbiano contato le autonomie locali, o gli enti locali, e nemmeno le Regioni. Hanno contato le città: forse l’Italia è una repubblica «urbista». I mille campanili di cui è popolata l'Italia sono quelli delle città, mica dei paesini.

La Lombardia chiude: ma chiude perché a Milano, dove c’è il centro del potere, i contagi sono alti. Le persone che decidono, che vedono le strade di Milano, le piazze di Milano, i bar e i ristoranti di Milano, i parchi di Milano, estendono le loro percezioni al resto della regione, indipendentemente dalla realtà che, in quegli altri luoghi, si trova.

Volete la prova? Quando ad essere epicentro della pandemia era Codogno, una «periferia», il lockdown localizzato è stato immediato (anche se allora non è servito, visto che la malattia girava già da settimane, senza che noi ce ne fossimo accorti).

Un’altra? L’ultima circolare del Viminale, che dovrebbe chiarire i dubbi interpretativi su quello che ci è permesso o vietato in zona rossa (la trovate qui) dice che si può fare attività sportiva "anche presso aree attrezzate e parchi pubblici, ove accessibili, non necessariamenteubicati in prossimità della propria abitazione". La mente del funzionario che scrive non è nemmeno sfiorata dall'idea che ci possano essere altri luoghi (es. boschi, prati, strade campestri) dove fare una corsa, lontano dalle case e dai loro abitanti.

Sala (il sindaco di Milano) l'ha proprio detto che se chiudeva Milano doveva chiudere tutta la Lombardia.

E allora fanno bene i nostri sindaci a protestare? Secondo me qualche ragione ce l'hanno.

Non tanto perché il lockdown sia "ingiusto" o la situazione non sia grave: facciamo bene a chiudere, se questo è il modo per abbassare la curva e far ripartire il sistema di tracciamento dei contagi. Ma anche il lockdown può essere fatto in modi diversi, prendendo misure differenti a seconda dei bisogni e delle specificità del territorio.

Ponte di Legno, in questi giorni, ha visto un discreto afflusso di proprietari di seconde case. Qualcuno passeggia in strada, lo vedo dalla finestra, proprio ora. Ma il DPCM poco dice su questo, perché in fondo non è un problema della città.

La cosa che più di tutte rimprovero, ai decisori cittadinocentrici, è la chiusura delle scuole, dalla seconda media in su, che, come ha candidamente dichiarato tempo fa Regione Lombardia, passano alla didattica a distanza per "ridurre il carico dell’utenza del trasporto pubblico locale" (ordinanza 623/2020).

Se questo poteva avere senso (un senso malato, a parere di chi scrive) per le scuole secondarie di secondo grado, di sicuro non ha senso per le scuole medie che, almeno in tanti nostri paesi, hanno degli scuolabus dedicati e non gravano quindi sulla rete di trasporto pubblico locale.

Sappiamo che le scuole non sono un centro di contagio. Sappiamo anche che la perdita di giorni di lezione causa dei danni gravissimi agli studenti (calcolabili tra l'altro in percentuali di salario inferiori per gli studenti che hanno perso un tempo maggiore di lezioni). Sappiamo infine dall'esperienza di studenti e insegnanti quanto più difficoltoso sia l'apprendimento con la didattica a distanza e quanto aumentino in questo modo i divari tra gli studenti, a seconda delle condizioni economiche e culturali della famiglie di origine.

Se la scuola è davvero una priorità, sarebbe il caso di salvarne il più possibile le attività. E se per difficoltà insormontabili (leggi: trasporti) non possono proseguire l'apertura in città, salviamole almeno nei nostri paesi. 

Ivan Faiferri