Un modo di sopravvivere a Novembre

Titolo:
Storie di gente felice

Autore: Lars Gustafsson

Editore: Iperborea (2020)


Prendiamo una manciata di esistenze diverse: un ingegnere stanco in viaggio nella Cina di Mao, un re che sa di non essere niente di speciale e vive non in castelli veri quanto in “fantasie tridimensionali” e una donna che si chiede se i suoi familiari tratteranno bene i suoi mobili, dal momento in cui si trova in un centro geriatrico. L’elenco potrebbe continuare all’infinito, o almeno fino a dieci, dieci come i racconti che Lars Gustafsson scrive in Storie di gente felice. E in questa lista potremmo comparire anche noi, con le nostre vite tutte diverse eppure accomunate da una lieve melodia di sottofondo. Nasciamo e, consapevoli di avere una data di scadenza (senza però sapere quale sia) viviamo aspirando alla felicità, cadendo cento, mille volte durante questa corsa forsennata.

Visti dall’alto potremmo sembrare una cascata di esseri umani diretta verso qualche luogo remoto, una macchia colorata di cui non si riesce a distinguere i contorni. Corriamo tanto verso una destinazione che non esiste, poiché la felicità non è una pista d’atterraggio, quanto la percezione del sole che riesce a insinuarsi anche negli spazi più stretti, anche nelle crepe dell’esistenza, per far risplendere la propria luce. Infatti, in tutti i racconti ci sono delle crepe, dei momenti in cui si trattiene il fiato e si appoggia la testa al finestrino sognando di essere altrove, o qualcun altro. In questi attimi in cui rischiamo di essere inghiottiti dal cielo, un vuoto blu tanto invitante quanto spaventoso, ciò che conta non è trovare la felicità quanto “un modo di sopravvivere a Novembre”, un’arte o qualsiasi cosa ci possa salvare e permetterci di sopravvivere al primo freddo che ci coglie impreparati. Novembre tornerà ancora, e lo sa bene lo scienziato frustrato protagonista dell’omonimo racconto, curato dall’autore con la letteratura. Una pomata per mille ferite diverse, un elisir che ci fa perdere per qualche istante la cognizione del tempo e dello spazio, facendoci vorticare in un mondo fuori dalla realtà, di gran lunga troppo frenetica perché la scrittura possa stare al suo passo e descriverla. 

Gustafsson gioca con la propria abilità di scrittore, sfoderando il potere magico di chi trasforma le parole in arte, presentandoci una serie di personaggi che sembrano tutto tranne che felici. Nessuno che vince alla lotteria, nessuno che vive in una famiglia perfetta o che fa una vacanza da sogno in riva a qualche mare caraibico. È possibile, essere felici lo stesso?

Sì, è proprio questo che vuole dirci l’autore, spesso definito come un Borges del Nord. In nessuna delle sue storie le persone hanno una vita facile, forse perché la vita in sé non è mai facile, a volte sembra una corsa ad ostacoli fatta apposta per farci inciampare e altre sembra non avere alcun senso. Allora, Gustafsson ci consiglia di crearci il nostro stesso significato, quando il mondo sembra averlo perso. Lo stesso mondo che spesso sembra essere coperto da un velo di indifferenza, contro il quale combattiamo come soldati protetti dalla nostra fortezza, nel nostro territorio personale: il corpo. Un corpo che oltre ad essere una rocca è anche il più fragile continente della speranza.

Come si può essere felici, in tutta questa fragilità? Come si può esserlo in questo mondo preconfezionato, in cui siamo circondati da cose che fingono di essere desiderabili senza esserlo davvero? Tutto sta nella possibilità stessa dell’essere felici: siamo tutti condannati a morte ma, nel mentre, abbiamo infinite possibilità di felicità.

Gustafsson scrive che nessuno sa di preciso cosa sia un essere umano, potremmo affermare che l’intero libro ruoti attorno a questa incognita, e se porsi delle domande a volte è estremamente facile, rispondere richiede qualche sforzo in più. Forse non sapremo mai cosa sia un essere umano, né una volta che avremo finito di ascoltare le parole dell’autore svedese né tra trent’anni. Ognuno può darsi la risposta che vuole, possiamo credere che sia un ammasso di cellule e neuroni, o una macchina complessa dotata di cuore e sentimenti. Gustafsson ha trovato la propria risposta, l’essere umano è possibilità. Anche possibilità di essere felice.

Maria Ducoli