La sinistra e la lezione di Berlinguer: Giancarlo ti sbagli

Caro Giancarlo,
nella tua lettera aperta al comune amico e compagno Enzo Raco del 27 luglio scorso mi tiri per i miei scarsi capelli e mi chiami in campo a causa di questo mio breve commento su Facebook: “Manca Berlinguer e tanto più il Pci. Guardare avanti, senza sapere dove sei e donde vieni, non serve a niente”. Poiché una manina ha cancellato sul blog una mia breve spontanea ma risentita risposta, che ti chiedeva di leggere quanto avevo a lungo scritto in proposito nel mio libro “Gli occhi su Brescia” prima di confrontarsi in qualsiasi luogo sul tema, ti scrivo quanto segue [nessuna manina censoria dietro la cancellazione del commento di Panighetti, ma la decisione di concentrare il dibattito tra i lettori unicamente su Facebook evitando duplicazioni e dispersione, ndr].

Quello che dici su Berlinguer, ed in particolare che “non ha più nulla da dirci”, mi ha lasciato di sasso perché prima di tutto non vi ritrovo la tua consueta apertura d'orizzonti.
Intendiamoci! Quando aggiungi “ne aveva sbagliate parecchie (e noi con lui)”, non mi fai né caldo né freddo, poiché non posso che condividere quanto mi pare così sottintendi e cioè che anche di lui si debba parlare senza alcun complesso di lesa maestà, dal momento che proprio Berlinguer ci ha insegnato a combattere il cosiddetto culto della personalità per troppo tempo in voga a sinistra.
Io stesso nel libro, che ho appena ricordato, gli avanzo due forti critiche: non aver compreso che salvare Aldo Moro ad ogni costo era la ragion di Stato dirimente per realizzare il compromesso storico e non aver liquidato la palla al piede del “centralismo democratico” che ha continuato a tappare le ali al Pci sino al suo scioglimento. Aggiungerei il non aver coltivato in seno un vero Delfino, in grado di garantire la continuità della sua buona politica (il che era una misura tanto più necessaria in un periodo storico a lungo così pericoloso da costringere alla consegna, anche per i massimi dirigenti provinciali del Partito, di girare per autodifesa con la pistola nascosta).

Ma veniamo al dunque! E' quello che dici nel merito dei presunti suoi errori che non convince e mi lascia anzi interdetto. Premetto un'ovvia constatazione. Quello che minutamente descrivi sulle cose che nel frattempo sono cambiate nel mondo e nel nostro Paese, non può che essere condiviso. Ci mancherebbe altro! Ma non è questo il punto, perché è del tutto evidente che la storia non si è mai fermata (come sempre) e quello che è accaduto negli ultimi trent'anni fa tremar le vene e i polsi a qualsiasi attento osservatore. Il fatto è però che, di fronte a questi enormi cambiamenti, è la sinistra che si è squagliata perché non ha saputo interpretarli, governarli e indirizzarli in qualche modo. E siamo arrivati al paradosso, da te giustamente stigmatizzato, che abbiamo lasciato la stessa memoria di Berlinguer nelle mani, o nelle “stime e nelle lodi” come tu dici, di un Salvini. Ma io sono convinto che ciò non è dovuto al fatto che Berlinguer “non ha purtroppo più nulla da dirci”, bensì al motivo che noi ne abbiamo perduto la lezione.
Perché vedi, anch'io sono convinto (come mi pare anche tu, vista la tua giusta insistenza in proposito) che quello che è accaduto negli anni ottanta, e tanto più l'interpretazione critica di quei fatti, è la chiave di volta per risollevare la sinistra odierna attraverso la presa di coscienza degli errori allora compiuti. E non certo perché creda ai ricorsi storici di vichiana memoria. So bene che l'acqua passata non macina più, che viviamo in un mondo completamente diverso e che non si deve assimilare l'occhio dello storico a quello del politico. Ma l'esperienza di quel decennio è stata così fondamentale che se non fai i conti una volta per tutte e fino in fondo con quei fatti ne esci disarmato.

Non è dunque questione di “risurrezioni o nostalgie”, ma di imparare dalle proprie esperienze a cambiare, se occorre, anche la propria pelle, non ripetendo gli errori del passato, l'esistenza dei quali è provata proprio dal baratro in cui è finita la sinistra non certo per un “destino baro e crudele” o perché nelle nuove condizioni date la sinistra non abbia più ragion d'essere. Proprio per questo mi chiedo come fai a dire che Berlinguer “Doveva produrre una proposta di governo e non una scelta di eterna e comoda opposizione come ha fatto fino all'ultimo”? Che cos'era allora la proposta di “compromesso storico” e tanto più quello che stava proprio costruendo quando è morto?
Mi soffermo solo sul secondo aspetto, perché è lì che tu le spari più grosse rimproverandogli la mancata alleanza con Craxi e la battaglia per la difesa della “scala mobile” sui salari e gli stipendi dei lavoratori. Ma è proprio qui che si ricava la modernità di Berlinguer e la sua abilità politica nel costruire le condizioni per una vera svolta storica nel governo del Paese a favore dei ceti popolari, proponendo scelte che parlano e servono (eccome!) anche all'oggi. Il fatto è che proprio nei giorni in cui purtroppo scomparve, i nodi stavano venendo al pettine e stavano maturando concretamente i frutti delle sue abili scelte fatte nei mesi immediatamente precedenti. Ne è prova fra l'altro il grande successo del Pci, che pochi giorni dopo la morte di Berlinguer, diventa il primo Partito italiano alle elezioni europee del giugno 1984, e non a seguito dell'emozione popolare per la sua scomparsa (come si continua a ripetere da parte di interessate o superficiali ricostruzioni politiche) ma proprio come premio e consenso verso le scelte da lui sviluppate nel cruciale passaggio storico che l'Italia stava attraversando, per cui la vittoria del Pci del 1984 sarebbe stata ancora maggiore vivo Berlinguer. 


Per capire ciò basta riferirsi al alcune fra le ultime dichiarazioni anche pubbliche del leader del Pci, che sottolineavano l'esistenza in Parlamento di un'alternativa possibile alla maggioranza che sosteneva il governo Craxi. E' chiaro quello che aveva in mente: un governo del segretario DC Ciriaco De Mita (che al tempo spintonava ed ambiva ad essere una vera alternativa a Craxi e non una sua mera staffetta come si acconcerà a fare qualche anno dopo a buoi ormai usciti dalla stalla) sostenuto dal Pci. Non era una questione di alchimie politicistiche, ma un'ovvia conseguenza di quello che era avvenuto nel Paese nei mesi immediatamente precedenti, perché la clamorosa vittoria del Pci alle elezioni europee era l'attesa spallata che avrebbe finalmente sancito e portato a compimento il disegno. Il capolavoro di Berlinguer in quei lunghi mesi era stato quello (ecco dove sta l'insegnamento anche per il presente) di operare nell'evidente ostilità di gran parte della Direzione Nazionale del suo Partito, che secondo alcuni lo aveva anzi messo in minoranza proprio sulla linea dell'accordo invece con Craxi. A fronte degli attacchi di molti dirigenti nazionali del Pci (come ad esempio Giorgio Napolitano sulla decisiva “questione morale” lanciata da Berlinguer contro la dissennata politica del debito pubblico incontrollato e ingiustificato e della relativa dilagante corruzione) il leader Pci faceva infatti leva sul sostegno enorme che gli veniva dato dalla base del Partito e dalle sue Federazioni periferiche, dove, come a Brescia, era in atto il decisivo movimento dei cosiddetti “autoconvocati sindacali”, nato proprio a Brescia dove aveva uno dei suoi punti forza come in Emilia. Il movimento (che ebbe un largo consenso nazionale soprattutto per l'appoggio dei comunisti nelle province come la nostra) non poneva solo la questione della difesa della “scala mobile” ma soprattutto il programma di radicale rinnovamento della vita democratica dei Sindacati Confederali. E' significativa in proposito la trattativa (di cui sono buoni testimoni gli interessati come il nostro compagno Pier Luigi Guizzi) in diretta telefonica fra Luciano Lama ed i dirigenti bresciani degli autoconvocati sul discorso che il loro leader Lorenzo Paletti (delegato CISL dell'OM-FIAT) avrebbe tenuto alla grande manifestazione romana del 24 febbraio 1984: solo la minaccia di non prendere viceversa la parola strappò a Lama il consenso che leggesse, come poi fu fatto al comizio del milione di autoconvocati, anche la piattaforma programmatica per la sburocratizzazione dei Sindacati Confederali. La forte dialettica interna al movimento sindacale in quei mesi spiega fra l'altro perché Craxi non si dimise all'indomani della decadenza del “decreto di San Valentino” a causa dell'ostruzionismo Pci in Parlamento, ma potette invece reiterare il decreto stesso con lievi modifiche a causa soprattutto dell'appoggio della Cisl di Carniti, che impedì in sostanza a De Mita di aprire la crisi. Ecco perché il risultato delle europee sarebbe stato decisivo in proposito, stante anche il permanere della spada di Damocle della conversione del suddetto secondo decreto Craxi.

Quello che Berlinguer lasciava in eredità era dunque chiaro: la richiesta nei dovuti modi (favoriti da quell'occasione storica insostituibile e irripetibile) dell'apertura immediata della crisi del governo Craxi all'indomani delle elezioni, la formazione di una nuova maggioranza incardinata sull'appoggio del Pci, che non avrebbe certo portato all'assurdo referendum dell'anno dopo sulla “scala mobile” e realizzato invece il disegno di rinnovamento profondo del Paese sui temi generali della giustizia sociale e dello sviluppo della democrazia basata su nuove forme capillari di partecipazione in ogni ganglio della vita politica, sociale, sindacale (lo stesso programma in sintesi, che spetta attualmente alla sinistra per rialzare la testa). E' chiaro come tale prospettiva non avrebbe solo evitato il “triennio nero” del Pci, seguito alla morte di Berlinguer, ma anche la fine ingloriosa della prima Repubblica e dei suoi principali Partiti.

Sono temi che qui ho solo schematicamente accennato e che tratto più diffusamente nel mio libro citato, sia pure da una prospettiva e testimonianza prevalentemente personale e locale, che attende la verifica ed il necessario sviluppo argomentativo affidato agli storici politici (guardo con fiducia ad esempio al nostro Mimmo Franzinelli, che nella sua ultimissima ricerca è approdato ormai al 1960). Ma sono pronto a confrontarmi su di essi in ogni sede, soprattutto con te che sei un riconosciuto ed autorevole autore.
Cordialità.

Alberto Panighetti