Coronavirus e inquinamento: gli studi in corso

Nessuna certezza. Solo ipotesi da studiare a fine pandemia, se fine ci sarà. Ricercatori, università, istituzioni, giornalisti stanno avanzando ognuno delle teorie relative ai luoghi del maggior contagio in Italia. L'analisi parte da: perché Lombardia, Piemonte ed Emilia su tutte le altre regioni. Perché questa concentrazione? Perché non le regioni del centro e del sud Italia, se non in minima parte e magari contagiate da persone provenienti dal nord?
Le riporto tanto per curiosità, non per certezza scientifica. Poi magari vedremo i risultati degli studi.


Prima ipotesi. 
L'hanno chiamata l'epidemia della A21. È l'autostrada Torino Piacenza Cremona Brescia. L'Università del San Raffaele di Milano sta analizzando tutti i dati della mortalità lungo questo asse autostradale. Grande via di comunicazione e quindi grande scambio di persone e grande traffico. Vero è che sono stati i grandi centri dei focolai, chi prima chi dopo, ma dobbiamo rilevare che altri grandi zone rosse non rientrano in questo tragitto e quindi quest'ipotesi mi lascia un po' perplesso. Vedremo cosa diranno gli esperti del San Raffaele, l'importante sarà non affidarsi al dottor Zangrillo, anestesista noto per essere il medico di fiducia di Berlusconi e per alcune dichiarazioni fuorvianti sul coronavirus, visto poi che non è né virologo né epidemiologo e le sue uscite valgono come quelle del mio medico di fiducia.

Seconda ipotesi
È necessario capire se l'inquinamento atmosferico abbia giocato un ruolo importante nella diffusione del virus. Sostiene difatti Giulia Assogna, giornalista scientifica di Nuova Ecologia, che il fenomeno è assai complesso ed ha bisogno di dati certi e verificati per sostenere un'ipotesi del genere. Lei fa riferimento ad uno studio in cui si afferma che il particolato atmosferico, le famose PM10 e PM2.5, avrebbe accelerato la diffusione del virus con la funzione di vettore di trasporto delle piccole particelle chimiche.
Su questo tema sta lavorando pure l'ARPA Lombardia, che ha già pubblicato on line una settantina di pagine di grafici ed analisi in merito.
Mi pare più credibile lo studio del CNR di Pisa che chiarisce puntualmente che l'esposizione prolungata a concentrazioni elevate di particolato atmosferico, come in Pianura Padana, rende il sistema respiratorio più debole e quindi più suscettibile a infezioni respiratorie legate a virus e batteri. La presenza continuativa nei periodi invernali di alte concentrazioni di PM10 e più piccole facilita l'insorgenza di malattie in persone che respirano aria altamente inquinata e quindi sono più predisposte ad una forte diminuzione delle difese immunitarie.
Persino l'Università di Harvard ha presentato un lavoro in cui si evidenzia il legame tra aree fortemente inquinate e tasso di mortalità, il caso si adatterebbe in pieno alla Pianura Padana, da Torino al Vo' Euganeo.
Che l'apparato respiratorio di persone esposte all'inquinamento sia più indebolito rispetto a quello di persone che vivono magari in ambiente di montagna, sani, puliti con basso o bassissimo tasso di inquinamento è abbastanza accertabile. Sarebbe come parlare della differenza tra i polmoni di un grande fumatore e di un non fumatore neanche passivo. Di certo non è il fattore scatenante del virus ma un fattore favorente possibilmente sì. Anche Wuhan è un'area ad alto tasso di industrializzazione e posizionata più o meno nelle stessa situazione geografica della Pianura Padana. Un catino. E fortemente inquinato, come buona parte della Cina.
Si dirà che in primavera si sono bloccati i trasporti su gomma e quindi l'inquinamento atmosferico è fortemente diminuito. Dal benzene sicuramente, ma non dai prodotti zootecnici precursori e grandi componenti delle polveri sottili impiegati abbondantemente in agricoltura proprio nelle semine primaverili e nei lavori di dissodamento e spargimento di liquami. Cambiano i fattori ma il risultato non cambia.

Terza ipotesi
L'ARPA Lombardia scrive nel suo elaborato che, riguardo ai valori di PM10 e PM2.5, i dati indicano in maniera evidente la stagionalità di questi inquinanti: i valori più elevati si registrano tipicamente nei mesi più freddi dell'anno. L'analisi dei dati del mese di marzo 2020, pur collocandosi nella fascia bassa della variabilità del periodo, evidenzia un alternarsi di giornate con concentrazioni più alte e altre con valori inferiori. Alcuni episodi, come quello del 25 febbraio, con un valore di PM10 pari a 82 µg/m³ registrato a Codogno, il limite è 50, già in piena "zona rossa", hanno evidenziano l'importanza del fenomeno di trasporto del particolato da altre aree e il fatto che le concentrazioni non sono solo influenzate dalle emissioni di prossimità, ma da tutte quelle del bacino di riferimento ed anche da molto lontano.
Così come, invece, quando dal 18 al 20 marzo si è registrato un incremento significativo di polveri sottili in gran parte della regione, nonostante la riduzione dei flussi di traffico e di parte delle attività industriali, è risultato chiaro il contributo della componente secondaria e della situazione meteorologica più favorevole all'accumulo.
Infine, anche l'episodio del 28 e 29 marzo - quando a causa del trasporto di particolato originario dalle regioni asiatiche, le concentrazioni di PM10 sono risultate molto elevate a fronte di un aumento inferiore delle concentrazioni di PM2.5 - mostra in modo chiaro la complessità dei fenomeni correlati alla formazione, al trasporto e all'accumulo di particolato atmosferico. In altri termini si sostiene , come da cartina qui riportata, che le sostanze inquinanti, nel momento di minor traffico, vengono trasportate verso la Pianura Padana da flussi meteorologici che provengono o dalle zone asiatiche o dal sud/ovest mediterraneo. Rimane comunque la tesi per cui se non siamo noi a produrre inquinamento sono gli altri che ce lo inviano grazie a flussi d'aria che non conoscono confini geografici. Di fatto risulta sempre che la pianura è fonte di inquinamento e l'inquinamento è fonte di indebolimento delle nostre difese e come sostiene anche l'OMS benzene, diossido di azoto ed altri particolati sono potenzialmente cancerogeni e quindi favoriscono anche la diffusione di altre  malattie.
Le vittime di Covid spesso hanno presentato altre patologie che hanno contribuito a creare situazioni di irreversibilità della malattia stessa.

Guido Cenini

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