Favolacce




Per rifondare il mondo, è necessario uccidere i padri, tagliandone le teste e magari esibendole in quanto simboli di un sistema abbattuto. Ma se i padri sono già da tempo dei morti viventi, dalla vita solo apparente e tutta estetizzata negli emblemi del contemporaneo, allora non rimarrà che sopprimere se stessi, in una resa dolorosa che pone nuove domande sulla direzione della società occidentale.
Vincitrice dell’Orso d’argento per la migliore sceneggiatura al Festival di Berlino, “Favolacce” è la nuova pellicola firmata dai fratelli Damiano e Fabio D’Innocenzo, che fanno scivolare le proprie lenti focali dalle periferie protagoniste del folgorante film d’esordio “La terra dell’abbastanza” (2018) a una Roma più borghese, ma ugualmente mortifera. In una piccola comunità familiare a sud di Roma vivono Bruno e Dalila, genitori di due figli che rappresentano una speranza di scalata sociale, mentre poco più in là in un camper vive Amelio con il timido Geremia. In un’orchestrazione dallo spartito sempre più claustrofobico, nel dolente valzer dei D’Innocenzo entrano Vilma, giovane ragazza incinta, il professore Bernardini, disprezzato dai colleghi, e la piccola Viola, aliena dalla realtà. La videocamera dei registi romani si muove tra le pieghe del quotidiano solo fintamente irreale, interessato al retro delle abitazioni più che alle facciate, a quei coni d’ombra che sembrano nascondere il messaggio di una società ormai malata, morente. Una società nella quale il tradizionale flusso della storia viene reciso, e il mondo degli adulti non riesce più a soddisfare il bisogno di risposte dei bambini, smarriti nel mondo così come nel giardino di casa loro dove persino un barbecue o una piccola piscina possono tramutarsi nel terreno di un conflitto malcelato, pronto ad esplodere in qualsiasi momento.
Già, l’esplosione. Il momento culminante in cui tutto verrà sovvertito e distrutto, nell’impossibilità di spiegarlo, modificarlo, correggerlo. Il culmine incandescente che tutti i personaggi aspettano o semplicemente auspicano per cambiare le proprie vite, moti di materia e di spirito che troveranno il proprio innesco laddove possono, poco conta che si tratti di un manuale di fisica o di una pop song di Meneguzzi. Perché, in assenza di risposte dal mondo degli adulti, i ragazzi faranno da sé; e giocare a marito e moglie che fanno sesso o far saltare all’aria il (proprio) mondo in fondo non è poi tanto diverso, perché in fondo, anche se ad essere in gioco è la propria vita, si tratta solo di un’altra favolaccia.

Stefano Malosso