Corsi, ricorsi e viali

"Le statue, come i monumenti commemorativi, o la toponomastica, non sono infatti “la storia”, ma uno strumento attraverso cui specifici personaggi o eventi storici, accuratamente selezionati, vengono celebrati; nella maggior parte dei casi – non sempre – sono le istituzioni, in particolare quelle statali, a scegliere chi o che cosa sia degno di essere ricordato e celebrato. Si tratta di un’operazione centrale per la costruzione di una narrativa nazionale funzionale alla visione del potere stesso: il modo con cui si sceglie di ricordare il passato e di celebrarlo infatti influisce sul modo con cui gli individui e le comunità guardano il mondo, sé stessi e gli altri.  Questo vale ovunque, e in qualunque epoca" (Valeria Deplano).

Non c'è molto altro da dire, sul dibattito che si è aperto in questi giorni sulla rimozione /abbattimento delle statue in Italia e all'estero. Per alcune proposte concrete, rimando al bell'articolo della ricercatrice di Cagliari, che nel finale accenna ad alcune idee che, immagino, farebbero arrabbiare tanto gli imbrattatori che i difensori di Montanelli.
Ma è di sicuro con i nomi che controlliamo una parte importante dell'immaginario delle nostre società: oggi ricordiamo Carlo Magno molto volentieri come padre dell'Europa, molto meno come massacratore dei Sassoni pagani. Naturalmente, se vogliamo parlare di Carlo Magno, facciamolo, il punto però è che in tutti i tempi il potere cerca di rileggere la storia per creare un passato a suo modello.
La stessa Repubblica Italiana si basa su questo principio: il Risorgimento è un pantheon comune tra noi e il fascismo, ma andiamo a vedere come veniva dipinto Mazzini in un libro di testo degli anni '30 e come viene dipinto dalla storiografia degli anni Duemila. Sono davvero lo stesso individuo?
Nel 1946, l'avvocato Mario Nobili, socialista e antifascista, primo sindaco della Breno repubblicana e presidente della Società Operaia di Mutuo Soccorso di Breno (intitolata a Giuseppe Garibaldi: intitolazione che venne mantenuta anche dai fascisti, che confezionarono un nuovo personaggio per questo nome) convoca la giunta per nominare una commissione per la revisione della toponomastica, perché molte vie hanno ancora "delle denominazioni che contrastano con il nuovo clima creatosi dopo la liberazione e l'instaurazione della Repubblica italiana".
Piazza Roma divenne Piazza della Repubblica, e questo non ci stupisce.
Più interessante, invece, vedere che la via che parte dal municipio e va verso la Tassara venne denominata "Viale XXVIII aprile" (dal giorno della liberazione di Breno).
Questa strada era già stata oggetto di ridenominazione, nel 1944. L'allora Podestà Giovanni Ronchi aveva infatti cambiato la precedente intitolazione (Viale Regina Margherita), che rimandava alla monarchia, in un più moderno "Viale della Repubblica". Ma era la repubblica sbagliata, quella di Salò.

Da leggere:

  1. Valeria Deplano, Doveva (ac)cadere: https://storieinmovimento.org/2020/06/13/doveva-accadere/ - su statue, toponomastica, e cosa farsene di Indro Montanelli d'oro.
  2. Giulia Barrera, l'aria di città rende liberi? Appunti sulla storia delle donne sole nell'Eritrea coloniale:  https://www.academia.edu/2195894/Laria_di_citt%C3%A0_rende_liberi_Appunti_sulla_storia_delle_donne_sole_nellEritrea_coloniale - 2 minuti del colonialismo italiano ("Italiani brava gente" e "noi in Africa abbiamo portato le strade") discussi in maniera un po' più approfondita - attenzione spoiler: alla fine non ne usciamo benissimo.
  3. Luca Sofri, I giorni delle statue: https://www.wittgenstein.it/2020/06/15/i-giorni-delle-statue/ - ok, abbattiamo pure. Ma è giusto che a deciderlo sia una folla inferocita (per quanto mossa da buone intenzioni)?

Immagine 1) La deliberazione podestarile del 22 gennaio 1944 con cui vengono reintitolate "Via G. Mazzini" e "Viale della Repubblica" 


Archivio comunale di Breno. Fotografia di Carlo Medici.

Immagine 2) Delibera del Consiglio comunale di Breno 10 novembre 1946 con cui viene nominata la commissione sulla toponomastica

Archivio comunale di Breno.

Ivan Faiferri