Questo articolo è uscito sul numero 319 di Graffiti con il titolo Un cane che si morde la cultura - parte 2.
Le piazze sono comunque gremite di gente in festa, che con maestria regge birre e ombrelli in attesa dei concerti.
A “Tutta la città ne parla” di Radio 3 si disegnano traiettorie lungimiranti e sospese, che partono dal tramonto dell’era del lavoro e dell’omo faber e giungono alla proposta di socializzazione dei big-data, prodotti dal consumo, come soluzione alla povertà.
Da qualche altra parte, un po’ più a destra, si danno pacche sulle spalle per l’approvazione del taglio al cuneo fiscale che, come previsto, svolterà certamente la vita dei lavoratori entro dicembre 2023.
Nel frattempo, nello spazio di un centro anziani del piccolo comune di Cividate Camuno, si sta svolgendo anche l’evento “D(i)ritti a maggio - di cultura è fatto il pane”: l’iniziativa, organizzata dal neo nato Collettivo 5.37, si apre con l’intento di incoraggiare un dibattito pubblico sulle condizioni dei lavoratori precari, a partire da quelle dei dipendenti esterni dei siti archeologici camuni.
Di loro abbiamo raccontato nei precedenti numeri, in particolare in occasione dello sciopero che diedero luogo a dicembre 2022, a seguito di una proposta di assunzione peggiorativa avanzata da Cosmopol, azienda vincitrice del bando ministeriale per l’esternalizzazione dei servizi di vigilanza e accoglienza.
La loro lotta è proseguita tenacemente anche nei mesi successivi, sempre accompagnata dal silenzio della Direzione Regionale Musei Lombardia.
Ad oggi alcuni dei lavoratori sono confluiti nel Collettivo 5.37 (che, per intenderci, è la retribuzione lorda prevista dal contratto attualmente valido per il Polo Museale della Lombardia), un’assemblea aperta a tutti coloro che condividono l’interesse di costruire un dibattito attorno a queste scottanti tematiche.
Le riflessioni scambiate durante l’incontro del 1° maggio a Cividate trovavano forza nel senso di urgenza, condiviso da organizzatori, partecipanti e ospiti - tra i quali l’associazione nazionale Mi Riconosci?, Sergio Bonomelli e Massimo Maugeri - di ri-significare completamente la cultura.
Che cultura è se non sa creare benessere sociale equamente distribuito?
Che cultura è se nell’idea di patrimonio da salvaguardare e valorizzare non sono comprese anche le persone che con il loro lavoro il patrimonio lo animano?
Suggestioni che si caricano di ulteriore urgenza di fronte al riconoscimento di “Brescia Bergamo - Capitale della Cultura 2023”.
È un percorso indubbiamente lungo e il riconoscimento di alcuni diritti ancora lontano, tuttavia infondono coraggio l’attenzione e l’appoggio che le istanze dei lavoratori camuni hanno ottenuto da parte di cittadini, collettivi, giornalisti, istituzioni e politici.
Istanze che, in un paio di casi, si sono convertite in un’interrogazione e un’interpellanza parlamentari, in attesa ora di risposta da parte del Ministero della Cultura e da quello del Lavoro e delle Politiche Sociali.
“Dopo l’invio dell’interrogazione ho ricevuto pressioni da parte di un’associazione di cooperative, che mi accusava di avere pregiudizi nei loro confronti e nei confronti del loro operato” mi racconta Devis Dori, deputato lombardo di Alleanza Verdi-Sinistra Italiana che, come Valentina Barzotti di Movimento 5 Stelle, ha voluto contribuire alla causa portandola ai piani alti. “Questo ci suggerisce la gravità e il livello di insidia della situazione che questi lavoratori stanno affrontando”, continua.
Le impressioni che mi condivide non sono particolarmente ottimiste: teme che il modello dell’esternalizzazione di alcuni servizi venga progressivamente adottato anche da altri ministeri e che questo arrivi nel tempo a pesare sempre di più sui lavoratori precari. Tuttavia mi lascia assicurandomi che, qualora il ministero non dovesse rispondere entro un mese, avrebbe portato la situazione alle question time della Commissione Cultura e avrebbe tentato con un’altra interrogazione parlamentare, questa volta a risposta orale.
Concludo la telefonata con una sequenza in stile Kulešov che mi accompagna nella testa: la Meloni che un anno fa paragonava il salario minimo “già stabilito dai contratti collettivi nazionali” allo specchietto per le allodole, e i lavoratori della cultura camuni oggi, impegnati nella stesura di una lettera di diffida alla Cosmopol che ha deciso di non garantire nemmeno i salari da fame stabiliti in fase di contrattazione.
Per citare Rocco Schiavone: questa sì che è una bella rottura di coglioni di livello dieci.
E rimbocchiamoci tutti le maniche, che ne abbiamo ancora da fare!
Elena Zeziola