#STORIE: Miriam Milani e quel cancro al seno che le ha dato la misura del tempo

 


Le ciocche che cadono nella vasca, una alla volta. Per ogni capello caduto c’è una lacrima che lo accompagna. Un bambino sulle ginocchia a cui spiegare cosa sia, quella malattia che ti morde dentro senza che gli altri possano accorgersene. Nemmeno tu stessa te ne rendi conto, d’altronde.

Sì, arriva la doccia fredda, la diagnosi che non vorresti, i giri negli ospedali, interventi e terapie aggressive. Ma se ti guardi allo specchio sei ancora tu. Poi i capelli iniziano a cadere, piano e silenziosamente, proprio come ti sei ammalata. Alzi lo sguardo e una ragazza malata ti guarda dall’altro lato del vetro.

  Il mondo di Miriam Milani si trasforma in un insieme di cocci che le piovono addosso, nel momento in cui riceve una diagnosi di tumore al seno. Ha paura, è terrorizzata, non tanto per sé quanto per il bambino che gioca nella stanza accanto. «È devastante pensare che mio figlio avrebbe potuto perdere la sua mamma» commenta con la commozione che le rompe la voce.

Quel giorno era entrata tranquillamente nell’ambulatorio del medico, per un semplice controllo. Due anni prima un altro dottore le aveva detto di stare tranquilla, quelle cisti che sentiva erano solo delle placche da latte, niente di preoccupante. Due anni dopo le corse da una visita all’altra, percorrendo i corridoi dei reparti di oncologia chiedendosi se fossero a senso unico. Agoaspirato, mastectomia, radio e chemioterapia. Esci che sei diversa, ma esci, ripercorrendo la corsia al contrario. La paura che il cancro possa tornare resta, devono passare cinque anni prima di poter tirare un primo timido sospiro di sollievo.


Miriam sorride, dall’altra parte del telefono. Non si vede, ma il suo sorriso è contagioso. Lo stesso con cui rallegrava le altre persone che facevano la chemio con lei. Che poi non si sa dove lo trovasse, quanta forza avesse dentro senza che lo sapesse. È uscita tutta insieme, forse, perché «quando senti di avere i minuti contati, cerchi di sfruttarli il più possibile, di vivere al meglio quello che resta». E infatti l’estate del 2019 Miriam si diverte, ha appena ricevuto la diagnosi e vuole assaporare fino in fondo ogni minuto su questa terra, come un gelato che non finiresti mai di gustare. Non si è nascosta, ha guardato in faccia il cancro e l’ha sfidato a beach volley, relegandolo con una schiacciata dall’altra parte della rete.

Durante la sua partita, è stato fondamentale il ruolo dell’ANDOS un posto sicuro in cui poter esprimere le proprie paure. «Mi sentivo bellissima - commenta Miriam ripensando al corso di trucco fatto con l’Associazione - perdere i capelli e la femminilità è una batosta».

Ma lei vede anche gli aspetti positivi, i punti di luce che le hanno permesso di riscoprirsi. Perché quando ti dicono che hai un cancro rimetti tutto in proporzione, la vita inizia a scorrere diversamente, guardi i giorni e non vuoi solo che passino: vuoi viverli.

Miriam sottolinea come sia fondamentale la prevenzione, «forse, se il mio tumore fosse stato diagnosticato con due anni di anticipo, oggi non starei aspettando l’intervento per la ricostruzione». Si può cogliere una punta di dispiacere, perché chissà come sarebbe andata se. Ma lei è ottimista, non vede solo ciò che il cancro le ha tolto, ma anche ciò che le ha dato. Una sensibilità maggiore, che la porta ad evitare le domande di rito, quei come stai che chiedi solo per abitudine senza pensare che all’altra persona potrebbero risultare scomode. Meglio un abbraccio, un cuore su Whatsapp.

Miriam oggi guarda la vita da un’altra angolatura, non aspetta più, non si mette più in fondo alla lista delle priorità.

«Si pensa sempre di avere tempo, ma domani potrebbe essere troppo tardi».

Maria Ducoli