La Resistenza e l'uso pubblico della storia: una lettera aperta

Fin dalla sua uscita, il volume di Andrea Cominini Il nazista e il ribelle. Una storia all'ultimo respiro (Mimesis, 2020) ha diviso il pubblico dei lettori: da un lato c'era chi elogiava la prospettiva innovativa del libro e l'utilizzo di fonti inedite in lingua tedesca per lo studio della Resistenza; dall'altro chi criticava l'impianto della ricerca e il suo fondarsi in maniera eccessiva sulle memorie della famiglia del maresciallo Werner Paul Maraun.
Il dibattito ha coinvolto storici e associazioni camuni e bresciani (ad esempio il Circolo culturale Guglielmo Ghislandi e il presidente del circolo provinciale dell'ANPI), ed è anche uscito dai confini della Valle, con le prese di posizione di Mimmo Franzinelli (autore della prefazione al saggio) e del gruppo di lavoro Nicoletta Bourbaki, che ne ha scritto sul blog dei Wu Ming
Graffiti si è fin dall'inizio interessato del volume (ad esempio qui, qui e qui), presentando i punti di vista coinvolti, nella convinzione che il dibattito sulla Resistenza abbia alla sua base anche una funzione civile: affinare gli strumenti interpretativi e smontare i miti fondativi dei vari vari fascismi che si ripresentano con forza oggi.
Pubblichiamo oggi una lettera aperta, promossa e firmata da varie persone della Valle, che, prendendo una posizione critica sulla ricezione del libro, mira (come ci hanno scritto i promotori) ad allargare il dibattito ad una discussione "sull’uso pubblico della storia e sulla ricerca storica sulla Resistenza".

La redazione

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La ricerca alla base del libro Il nazista e il ribelle. Una storia all’ultimo respiro di Andrea Cominini, con prefazione di Mimmo Franzinelli (Mimesis, 2020), si basa a nostro parere su un uso manipolatorio della Storia e sull'utilizzo parziale delle fonti. Invece di presentarla come tale, ci spiace constatare che la stragrande maggioranza delle reazioni alla sua pubblicazione si attesti su una superficiale, acritica e passiva ricezione, testimoniata dalle molte recensioni ricevute su diversi organi di stampa. Inoltre, enti e associazioni legati ai valori della Resistenza e dell’antifascismo come ANPI Valle Camonica e Circolo Culturale Guglielmo Ghislandi di Breno gli hanno dedicato presentazioni acritiche sotto la propria egida, il che costituisce a nostro parere un fatto grave.
L’entusiasmo intorno al libro viene giustificato con il presunto coraggio dell’autore, capace di andare oltre gli schemi precostituiti che separano “buoni” (partigiani) e “cattivi” (nazifascisti); con le parole di Mimmo Franzinelli, «il libro “infrange i luoghi comuni [...] del cattivo tedesco e del buono italiano, [...] frutto di semplificazioni manichee». Questi sono i “due fronti della collina” (citazione dello stesso Cominini) che si vorrebbe appiattire per ricostruire, grazie a fonti finora mai consultate, l’episodio dell’uccisione nella piazza di Esine, il 28 aprile 1945, di Werner Paul Maraun, membro della Wehrmacht a capo delle operazioni antipartigiane in Valle Camonica nel 1944-45. Un evento legato, come il titolo sottolinea in maniera troppo forzata, all’esecuzione – da parte dello stesso Maraun e nello stesso luogo – del giovane partigiano Bortolo Bigatti 'Móha' il 6 febbraio 1945. A una lettura meno superficiale, le fonti inedite si rivelano essere in gran parte i ricordi della figlia di Maraun, parziali e trattati con estrema noncuranza dall’autore che, anche quando cita documenti, li piega sempre a confermare la sua tesi precostituita, suscitata in lui – scrive nelle prime pagine del libro – dai ricordi del nonno. Ovvero che Werner Maraun, uomo colto e non violento nella vita civile, dovesse in fondo essere una brava persona, nonostante la sua adesione convinta al nazismo dalla prima ora; all’opposto, Móha era un partigiano incosciente, indisciplinato e pronto a rischiare la vita dei compagni in azioni spericolate.
Non stiamo accusando Cominini di simpatie neo-naziste, come lui ha lamentato; e questo nonostante lui stesso stia portando avanti, almeno dal 2015, la proposta di aggiungere nella piazza di Esine una targa a ricordo dell’uccisione di Maraun, «presunto assassino di Bortolo Bigatti» (come ha scritto Cominini sul foglio esinese Il mio paese, giugno 2015). Crediamo che per affrontare ricerche come questa sia necessario attenersi scrupolosamente alla metodologia storica e alla storiografia. Cominini dimostra invece grandi carenze da questo punto di vista: non porta maggiore chiarezza su un episodio tanto rilevante ma al contrario, pur di trovare conferma alla propria tesi, non fa altro che gettare fango sulla memoria di un partigiano e dei movimenti di resistenza armata al nazifascismo nella Media Valle Camonica. Riabilitando così la memoria di un soldato di un esercito occupante, le cui responsabilità nelle azioni antipartigiane sono ben note. Il (non) dibattito attorno al libro di Cominini, dovuto al suo totale rifiuto e alle modalità comunicative tipiche da social network da lui adottate finora, ha polarizzato i lettori: una parte a scudo dell’autore, anche per dinamiche che risultano più attinenti a rapporti amicali che altro, e poche altre voci ad avanzare critiche nel merito (Alberto Panighetti su Graffiti il 16 marzo 2021; Mr Mill aka Franco Berteni sul suo blog il 26 aprile 2021; altri lettori nei commenti su Giap, blog del collettivo di scrittori Wu Ming, in calce alla ripubblicazione della recensione firmata Mr Mill, con una prefazione del gruppo di lavoro sul revisionismo storiografico in rete Nicoletta Bourbaki).
Siamo fermamente convinti/e che, come anche Mimmo Franzinelli dovrebbe convenire, la ricerca storica, pur muovendo da ipotesi dell’autore, debba poi confrontarsi con l’analisi puntuale delle fonti e non piegarle a delle tesi preconcette.
Alla luce di tutto questo rivendichiamo il diritto di critica al libro dal momento che le critiche sono state circostanziate e ponderate e non, come l’autore ha spesso lamentato, basate su una presunta invidia nei confronti della fama da lui raggiunta, e auspichiamo una discussione senza discredito prevenuto. Esortiamo inoltre a considerare la narrazione proposta da Cominini come esempio di una tendenza grave e pericolosa, a cui sia necessario faccia seguito un dibattito più serio di quanto avvenuto fino a oggi in Valle Camonica.
Lo facciamo in forma scritta e in maniera meditata, l’unico modo per evitare il pathos che si vorrebbe a tutti i costi introdurre, utile in questo frangente solo a scaldare opposte tifoserie. L’uso pubblico della Storia è un tema troppo delicato e importante, anche per il futuro, perché venga ridotto a sfide personalistiche. Il rischio concreto che si corre è che (anche) la lotta di liberazione dal nazifascismo venga ridotta a folklore, alla forma biografico-romanzata che si sta imponendo sulla scia dei libri di Giampaolo Pansa, mentre è auspicabile e necessario che su questi temi vi sia una discussione ampia e costruttiva, inclusiva anche delle critiche più intransigenti. A maggior ragione da parte di chi si professa antifascista – e non dubitiamo che lo sia – e pertanto dovrebbe mostrarsi aperto democraticamente al dibattito.

FIRME (elenco in aggiornamento)
- Iuri Moscardi
- Sara Rinetti
- Emil Bertocchi
- Giuseppe Sorlini
- Angelo Baffelli
- Fabrizio Andrea (Endri) Orizio
- Bortolomea (Lina) Fedriga
- Virginia Bruna
- Silvio Falocchi
- Paolo Abondio
- Gian Paolo Scalvinoni
- Carla Sorlini
- Franco Berteni (Mr Mill)
- Sergio Musati - Elena Tomera
- Bruno Cecala
- Andrea Musati
- Monica Baccanelli
- Moira Bormiolini
- Matteo Rizzardi
- Bruno Testa
- Mansueto Minolfi
- Marisa Minolfi
- Teresa Monge
- Graziella Alciati
- Giuseppe Bonatto
- Alessandro Bono
- Fabio Giorgi
- Fabio Cipolla
- Gianni De Giuli
- Giovanni Rinetti
- Grazia Milesi
- Claudio Malonni
- Rinaldo Capra
- Gianna Vignoni
- Sergio Doneda
- Carlo Gianuzzi
- Ettore Castelanelli
- Silvestro Bertocchi
- Daniela Lanfranchi  
- Savina Salini
- Elio Musati 
- Valentina Facchini Soster.

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