La lingua che non sappiamo: quando la LIS arriva nella Valle dei Segni

Immaginate di partecipare ad una conferenza stampa. Vi sedete, taccuino e penna alla mano e ascoltate. Magari vi viene una domanda, ma poi decidete di non farla. È una questione di scelte. Al centro dell’iniziativa illustrata da assessori e film makers c’è Andrea Forloni, un bambino sordo di 11 anni. Un bambino che fa grandi sorrisi e che sogna di diventare un interprete LIS al Festival di Sanremo. Vi nascono altre domande - molte - e vorreste esprimere anche la vostra ammirazione per l’entusiasmo e la spigliatezza che ha messo nei video. Ma non potete, perché non conoscete la LIS. Potreste usare l’interprete, ma voi vorreste non averne bisogno. Sorge un’altra domanda: di chi è il limite comunicativo? Di Andrea che ci racconta una Valle accompagnando i gesti con grandi sorrisi o nostro, visto che abbiamo bisogno dei sottotitoli? O forse della società, che non è poi così inclusiva come vuole sembrare. Peccato che noi siamo la società.

La Valle dei Segni, quella in cui la comunicazione si è fatta gesto grafico dai tempi più antichi. Dalle incisioni rupestri ai Wall of Arts, il nostro patrimonio artistico, storico e paesaggistico è contraddistinto dai simboli, semplici ma carichi di significato.
In questo ambiente denso di semiotica si colloca la LIS, di recente riconosciuta come lingua ufficiale. La Lingua Italiana dei Segni è infatti al centro della campagna di comunicazione visiva Andrea nella Valle dei Segni, realizzata da Davide Bassanesi, Silvano Richini e Nicola Ballarini e inserita all’interno del progetto della Comunità Montana “La cultura oltre la crisi”. Negli 8 video che compongono il progetto, con il suo zainetto arancione in spalla, Andrea racconta il territorio in un modo nuovo, che non era stato ancora sperimentato. In un modo inclusivo che dà a tutti la possibilità di scoprire che testi si celino tra queste montagne.
Com’è stato? Ti è piaciuto? Cosa significa per te? Tutte domande che non possiamo porgli. Il pensiero che viene alla mente è immediato: fin dai primissimi giorni di scuola, ci hanno insegnato che se avessimo voluto parlare con tutti avremmo dovuto imparare l’inglese. Quel tutti, però, non è per niente inclusivo: comprende solo le persone non sorde. Qualcuno deve essere lasciato fuori.
Spesso parlando di sordità emerge la parola “difficoltà”, Andrea e le sue difficoltà. Ma la domanda ora è: questi ostacoli sono di Andrea o del mondo che lo circonda? Da che lato guardiamo la situazione, dal mio o dal suo? Lascio volentieri la mia posizione da privilegiata e mi guardo in giro: Andrea ha potuto comunicare, io no. E nemmeno gli altri come me. La difficoltà è nostra, non sua.
Il linguaggio è una barriera invisibile, non si tratta di gradini che puoi evitare con uno scivolo. La lingua non puoi raggirarla cambiando strada, sta lì e ti ricorda ciò che puoi o non puoi fare. Le parole soffocano se non possono essere pronunciate, se non conosci i segni per far sì che arrivino ad Andrea. Allora gli sorridi, e ti prometti che la prossima volta guardi almeno un video su Youtube per mettere insieme una semplice frase. La prossima volta, sì.

Maria Ducoli