Il "morbo asiatico" duecento anni fa: Cholera a Costa Volpino

Il fatto

Emergenza epidemia: il Governo emana misure restrittive, gli stati europei chiudono i confini, si diffondono le bufale su cause e rimedi per la malattia, vengono allestite strutture temporanee per ospitare i contagiati, sono vietate le cerimonie religiose e sospese le scuole. Ma è il 2020 o il XIX secolo?


Il documento

La circolare 4 gennaio 1836, inviata dal Commissario distrettuale di Lovere alla Deputazione comunale di Costa Volpino, invita le autorità locali a prendere le prime misure per impedire la diffusione dell’epidemia di colera.



Nel 1836 Costa Volpino fu toccato dall'epidemia di colera ("cholera asiatico") che, tra il 1832 e il 1837, percorse tutta l'Europa. 

Nell’archivio comunale è conservato anche oggi un fascicolo piuttosto corposo, composto tra il 1835 e il 1836, che ci narra questa vicenda, ricostruendo in particolare gli avvenimenti che vanno dal gennaio all'ottobre 1836, mese in cui l'ondata epidemica sembra essersi placata.

Stupiscono, di fronte a questa come ad altre epidemie, i parallelismi che si possono trovare con la situazione odierna. Segno che, nonostante tutto il tempo trascorso, alcuni comportamenti, rimedi, paure di fronte alla malattia, sono rimasti tutto sommato gli stessi.


La prevenzione

A gennaio, il Commissario distrettuale di Lovere (una figura di cui si fatica a trovare l’equivalente oggi, una specie di sottoprefetto con autorità su una porzione della provincia), invita dunque la Comune di Costa Volpino a prendere le prime misure di profilassi, «quantunque si abbia tutta la speranza che il vero male Cholera Asiatico non abbia a svilupparsi nel distretto». Purtroppo, la speranza non si avvererà. Il commissario «rammenta l'obbligo alle deputazioni di informare… di ogni emergenza di malattie sospette… di fare in modo che i locali designati per case di soccorso di cholerosi siano perfettamente completi e quindi occupabili in qualunque momento». Ricorda infine «l'assoluto bisogno di energicamente insistere per la polizia delle strade e cortili, come di ogni [spazio] pubblico». 

Segnalazione dei casi sospetti, allestimento di luoghi dove ricoverare i malati, igiene personale: i deputati locali (gli amministratori) si mettono all’opera. 


La gestione dell'emergenza

Nonostante tutte le precauzioni, il morbo penetra nella comunità e inizia a mietere le prime vittime.

Il governo lombardo-veneto prende misure più restrittive: a marzo si chiede che gli amministratori locali «raddoppino di vigilanza sullo stato di salute dei rispettivi amministrati», ad aprile vengono vietate le funzioni religiose straordinarie. Quando, in ottobre, verranno permesse nuovamente, le autorità raccomandano «che siano possibilmente celebrate con discreta brevità e nei luoghi più capaci».

È sulle comuni, tuttavia, che gravano la maggior parte delle incombenze. Si acquistano letti, si requisiscono edifici per realizzare le case di soccorso, vengono effettuati interventi di sanificazione degli ambienti (i "suffumigi") di dubbia utilità – anche questo ha avuto un parallelo in questi giorni, con gli interventi di disinfezione delle strade, richiesti a gran voce da una parte dell’opinione pubblica, ma sconsigliati dagli esperti di sanità. Inoltre, l’ente locale fornisce il vitto agli ammalati e alle persone che li assistono, dà un indennizzo ai medici diversi dal medico condotto (il dottore della mutua di allora) che prestano il loro aiuto e paga il salario agli infermieri e le spese di tumulazione dei cadaveri. 

A novembre, quando il governo centrale dovrà rimborsare le spese dei comuni, si farà carico, per Costa Volpino, di una spesa di 60,27 lire, mentre al Comune rimarranno da pagare 2.957,94 lire.


I riti funebri

I cadaveri sono trattati con particolare cura, perché già si sospetta che siano veicoli del contagio: i corpi «saranno tenuti nel proprio letto per 24 ore e dovranno nell’intervallo essere sorvegliati». Vengono portati via da personale specializzato (uno dei portatori è "Francesco Cretti detto Prudenza") e tutto ciò che contenevano le stanze che li hanno ospitati viene bruciato. 

Una cittadina del comune, Giulia Deleidi, firma con grafia incerta una richiesta di sussidio a settembre 1836, per poter avere almeno un letto, dopo che le autorità pubbliche hanno dato alle fiamme quello in cui è morto suo marito, insieme a tutto ciò che aveva nella camera.

L’ultimo saluto dei parenti al corpo non è concesso: «Sarà preferibile che i cadaveri de’ cholerosi vengano senza pompa direttamente portati al campo santo, potendosi dalla chiesa eseguire uffici funebri senza la presenza del cadavere».


I viaggi all'estero

Gli stati confinanti al Lombardo Veneto, nel frattempo, chiudono i confini. A luglio, per esempio, lo Stato Pontificio richiede una «contumacia di quattordici giorni» per le persone e di ventuno per le merci, per tutti coloro che provengono «dalla Lombardia Austriaca e dagli Stati di Parma». Le autorità lombardo-venete forniscono certificati di sanità a coloro che devono varcare il confine.


Tra dati e dicerie

La Congregazione municipale di Bergamo dirama in aprile delle istruzioni destinate a tutti i comuni della provincia: vengono riportate indicazioni su come distribuire i sussidi agli ammalati, regole di comportamento per medici, visitatori (coloro che fanno visita ai malati) e promotori (coloro che richiedono sussidi per i contagiati). Il documento si apre con una dettagliata descrizione del decorso della malattia, che permetta alle autorità di distinguere i fatti accertati dalla scienza dell’epoca dalle dicerie e dalle superstizioni, diffuse allora quanto oggi.

Luglio sembra essere il mese più duro: in un prospetto che raffronta le morti mensili nel triennio, le morti nel mese di luglio per il 1834 e per il 1835 ammontano ad una persona per ciascun anno. Nel 1836 sono 48. Distinta per parrocchie, la situazione è la seguente: 20 a Volpino, 6 a Corti, 17 a Qualino, 3 a Ceratello e 1 al Piano.


Il ritorno alla normalità

Già ad agosto la deputazione comunale parla di una «sensibile diminuzione» della «serpeggiante malattia cholerosa» e a novembre la fabbriceria di Corti, che aveva avuto un edificio sequestrato per adibirlo a casa di soccorso, chiede la restituzione del fabbricato, non più necessario a quell’utilizzo.

Il morbo, che si era rapidamente diffuso, altrettanto rapidamente se n’è andato.

Ivan Faiferri (da Graffiti n. 301, maggio/giugno 2020)