Pensieri in libertà


Testimonianza di Luca Parolari, 23 anni, volontario in Croce Rossa


Erano ormai 6 mesi che ero completamente fermo nell'ambito del soccorso, un po' per impegni di studio ed un po' perché avevo bisogno di una boccata d'aria.
Il mio rientro operativo è stato piuttosto traumatico direi, visto che sono riuscito a fare solamente due turni ''in tranquillità'' a febbraio, per poi trovarmi coinvolto nella girandola di eventi ed emozioni iniziati a marzo e non ancora terminati.

Essendo volontario ovviamente è stata una mia decisione quella di mettermi in gioco; non ti nascondo che c'è stata una certa indecisione iniziale, ma non tanto per il rischio di ammalarmi in prima persona! La mia principale preoccupazione era quella di tornare a casa, terminato il turno, con un compagno di viaggio indesiderato che avrebbe potuto dare ben più di un problema ai miei genitori, non più giovanissimi e con qualche acciacco.
Dentro di me però ho percepito un impulso di altruismo che mi ha spinto ad accettare e buttare il cuore oltre l'ostacolo, non era proprio il momento di abbandonare la nave nel momento di massima difficoltà.
E' stato un periodo di cambiamento sotto tutti i punti di vista: dai protocolli operativi stravolti alla vita in sede, non più di condivisione e convivialità come in epoca pre-Covid. Sembrerà una cosa banale, ma indossare la mascherina e il dover mantenere le distanze dai propri colleghi anche durante i pasti (momento di massima condivisione soprattutto per noi italiani!) faceva risultare il tutto quasi apocalittico, da film.
A posteriori pensare che fino alla settimana prima eravamo operativi esclusivamente nel weekend dalle 8 alle 20 e da un giorno all'altro siamo stati disponibili tutti i giorni dalle 6 alle 22, fa capire non solo quanto sia stata imponente l'ondata iniziale, ma anche la grande disponibilità di un buon numero di volontari.

Ognuno arrivava in sede con la propria divisa all'interno di un sacco di plastica, ci si cambiava all'interno di una stanza separata dal resto della sede e si dava l'operatività, pronti per un altro turno. Ricordo benissimo il primo giorno, era un venerdì e avrei dovuto fare dalle 8 alle 18, ma già dopo un'ora avevo capito quale sarebbe stato l'andazzo: un'uscita dopo l'altra.
Tant'è vero che ho staccato alle 22.30, dopo aver sanificato l'ambulanza per l'ennesima volta, bardato dalla testa ai piedi. Il periodo di marzo ed aprile è stato senza dubbio il più pesante dal punto di vista psicologico: dover uscire bardati su ogni intervento, attenti ad ogni azione, oggetto toccato, una sanificazione dopo l'altra; soprattutto essere coscienti che durante ogni turno avresti incontrato persone sofferenti, che magari avevano già perso un loro caro con sintomi da Covid (e per di più senza un tampone e senza la possibilità di vederlo) e adesso anche loro stavano pagando lo scotto della stessa malattia.
L'elemento più disturbante è stato senza dubbio l'incertezza: la gestione dei pazienti, l'accettazione dei pazienti stessi nell'ospedale in cui venivi indirizzato, la salute dei propri cari. Tutto questo ha portato un vorticoso mix di emozioni, dalla rabbia allo sconforto, passando per attimi di sana follia e distrazione; la cosa che ci ha salvati è stata l'unità di intenti e la forza che ci si dava l'un l'altro.
Fortunatamente il periodo peggiore sembra passato e potremo tornare alla ''nostra normalità'', anche se di normale abbiamo davvero poco!

Immagine di JOSHUA COLEMAN su Unsplash