Idee per un nuovo inizio: bozza aperta

Per molti lettori di Graffiti, Pier Luigi Milani non ha bisogno di presentazioni, essendo uno tra i più dinamici e prolifici attivisti culturali della Valle, col Circolo Ghislandi e non solo. Pier Luigi ci ha inviato alcuni spunti sulla ripartenza socio-economica, ecologica e istituzionale della Valle Camonica: una bozza aperta, che vuole essere la base per un confronto con le istituzioni e gli operatori socio-economici, culturali e spirituali locali. Un'iniziativa meritoria, che volentieri abbiamo ospitato - in forma sintetica - sulle pagine del nostro giornale (n. 302) e che qui proponiamo in versione integrale.



PREAMBOLO 
Questa crisi ci fornisce qualche indicazione sui cambiamenti di medio-lungo periodo messi in moto dalla pandemia e sui rapporti tra la nostra valle e il resto del mondo.
Le nostre associazioni sono state mosse finora dallo scopo di conferire valore alle potenzialità della Valle Camonica, non solo turistico-storico-artistico-ambientali, ma anche lavorative e produttive (agro-silvo-pastorali, industriali, ecc.). Ora si pone il problema di come ripartire. Ricominciare “come prima e più di prima” è inimmaginabile, se vogliamo essere sinceri con noi stessi. Bisogna innovare e alla svelta. Ma come?
Abbiamo dalla nostra una atavica capacità di adattamento. Sarà il caso di tirarla fuori dalla naftalina e metterla all’opera.
Quale adattamento?
 
La “normalità” di prima del COVID per moltissimi era brutta, non per tantissimi altri. Non, ad esempio, per gli speculatori, per chi viveva e vive di rendita (“rentiers”), per i burocrati e per i parassiti di professione.
I cieli ripuliti dalle scie quotidiane dei troppi aerei low cost, incuranti dell’inquinamento scaricato sull'ambiente sottostante; i cetacei metallici spiaggiati delle immense navi da crociera del turismo massivo “usa e getta”; le costosissime autostrade e le città prive di traffico veicolare e di persone; le elefantiache cliniche ospedaliere e le case di riposo (soprattutto lombarde) ridotte a macabri ospedali di guerra; la strage quotidiana di miliardi di animali, allevati e macellati senza alcun senso del limite, ci interrogano su un “prima” che non tornerà, né dovrà tornare così come l’abbiamo conosciuto, se teniamo a noi stessi.
Siamo consapevoli, come minuscola associazione culturale, di non disporre di risposte all’altezza della estrema complessità dei problemi che abbiamo di fronte, essendo stati parte e concausa degli stessi, come uomini e donne di questo tempo.
Tuttavia, questa crisi ci offre la possibilità di voltare pagina e di attivare un nuovo inizio, anche a partire da una realtà relativamente piccola come la nostra. Bisogna innanzitutto volerlo.
In tal senso ci aiuta e ci guida il Manifesto di Camaldoli del primo novembre 2019.

Ci rivolgiamo perciò alle associazioni con cui abbiamo condiviso e condividiamo un percorso comune e ci rivolgeremo, auspicabilmente insieme, alle istituzioni pubbliche e agli operatori privati, sociali ed etici, ma, soprattutto, intendiamo rivolgerci ai giovani, perché il futuro è il loro.
Non siamo gli unici a pretendere di cimentarci con un approccio a tutto tondo con un problema così grande. Vari “pensatoi”, sicuramente più accreditati, sono attivi in ogni parte del mondo per forgiare risposte soluzioni (ad esempio il Forum Disuguglianze Diversità). Sarà importante evitare il riproporsi della Babele dei linguaggi, in cui (come purtroppo è successo anche di recente riguardo alla pandemia) ciascun esperto cerca di sponsorizzare la propria ricetta a scapito dei quelle altrui.


CHE FARE PER LA NOSTRA VALLE?
Non abbiamo la pretesa di configurare un nuovo Piano Socio-Economico de' noantri, ma solo di contribuire con stimoli e segnalazioni al confronto e all’azione. Di seguito, indichiamo alcuni campi di analisi e proposta.

A) La conoscenza*:
I camuni hanno un legame ancestrale col lavoro manuale, in agricoltura non meno che nell’industria. Ciò non toglie che, tuttavia, diventa sempre più arduo trovare figure artigiane di supporto alle necessità quotidiane della vita (elettricisti, idraulici, falegnami, tecnici dei computer, ecc.). Ciò è dovuto anche all’evoluzione tecnologica che spinge fuori mercato chi non riesce a mantenere il passo delle innovazioni di prodotto sempre più sofisticate. L’artigiano di prossimità va sparendo e, insieme, anche il nostro presunto benessere. L’artigiano del futuro non potrà che uscire (e rientrare per aggiornamenti) da scuole tecniche e professionali (IPSIA, ITIS, ecc.) da riqualificare e potenziare, e diventare un promotore di innovazione e creatività.
Analogo percorso dovrà essere perseguito per la scuola alberghiera e per quella di formazione ASA, con consuntivazione periodica e con borse di studio dedicate.

B) La filiera agro-silvo pastorale*:
Per sopravvivere, dovrà essere orientata alla riqualificazione biologica integrale delle produzioni agricole e alla trasformazione del principio del “benessere animale” in un punto di forza dell’offerta alimentare locale (latte, latticini, carni, ecc.), con eliminazione, progressiva, ma inesorabile e da raggiungersi “a tappe forzate” della somministrazione di antibiotici e medicinali da ingrasso e crescita precoce del bestiame d’allevamento o dell’aumento incessante e mostruoso (dunque pericoloso per la salute animale e umana) delle quantità di latte per capo bovino.
L’assistenza e il controllo veterinario sulle buone pratiche di allevamento dovranno essere rese effettive e verificabili, sia col potenziamento e la formazione di una nuova leva di medici veterinari (con incentivi ad hoc per le iscrizioni ai corsi universitari), sia con l’obbligo della pubblicazione delle rendicontazioni concernenti gli stati di avanzamento, sia rendendo le stalle, peraltro iper-sovvenzionate da decenni con soldi pubblici, accessibili al pubblico dei consumatori a Km zero e dei turisti, introducendo, in tal modo, un secondo livello di controllo promozionale.
Chi guiderà questa riconversione? Disponiamo di validissime agenzie di settore: l’APAV, il CISSVA, l’ex CATA, il Bio-distretto, il Consorzio del Fungo e della Castagna, le cooperative di produzione e la rete dei piccoli negozi specializzati.

*Percorso comune ai campi A) e B):
L’effetto “urbanofobico” indotto dalla pandemia (cfr. Marco d’Eramo, “Il selfie del mondo”) premierà le scelte di vita e l’offerta di vacanze “infection free”. Potrebbe non durare, ma, nel medio periodo, potrebbe favorire i reinsediamenti e le vacanze nelle aree montane, di campagna, collinari e lacustri (cfr. Valentina Doorly, “Megatrends Definig the Future of Turism”) e anche offrire risposte proattive allo spopolamento dei paesi di gronda, più disagiati, ma anche meno esposti ai rischi di diffusione dei contagi. Attenderemo inerti di subire quell’effetto? Oppure ci attrezzeremo per trarne beneficio? E, se sì, come?
La vita in montagna andrà proposta come esperienza da recuperare, non solo per brevi escursioni/incursioni mordi e fuggi, ma per stages più o meno prolungati (modulari) per studenti e giovani del servizio civile, ma anche per pensionati (AUSER), appassionati dell’alpinismo (CAI) e/o lavoratori stressati o in fase di riqualificazione, mediante riconoscimenti non solo morali. Ciò richiederà il riconoscimento di concreti crediti formativi e valutativi a livello scolastico e universitario e di buoni pass di accesso ai servizi individuali (palestre, piscine, ecc.).
Se il Covid 19 ha imposto una sorta di apnea scolastica di quattro mesi, perché non dovrebbe essere possibile introdurre la possibilità per intere classi scolastiche o per gruppi di allievi di spendere uno o più mesi del cursus istruttivo in una full immersion in ambiente rurale, montano o lacustre, con tanto di tutor e obbligo di rendicontazione e incidenza sulla valutazione finale?
In tal senso potrebbe tornare utile il bagaglio esperienziale degli “Orti alpini” e dei “Corsi di sfalcio” già attivati da alcuni anni dal Parco dell’Adamello nell’ambito della Fiera della Sostenibilità.
Un altro modo di vivere, crescere, fare e divertirsi.
Impara l’arte e mettila da parte!

C) Silvicoltura:
Anche in questo campo abbiamo sul territorio varie agenzie qualificate: l’UNIMONT, università agraria per la montagna, e la Scuola forestale Meneghini di Edolo, il Parco dell’Adamello, un certo numero di Consorzi ad hoc e il già menzionato Consorzio del Fungo e della Castagna. Saranno questi a fornire, certamente meglio di un piccolo circolo culturale, le proposte di innovazione nella preservazione e valorizzazione del patrimonio boschivo (si pensi alla strategicità dei castagneti anche ai fini turistico-paesaggistici).
Vale, anche a tale riguardo, l’idea degli stages per studenti, giovani e/o adulti che scelgano di trasferirsi per periodi più o meno prolungati o per il resto della loro vita, a scopo abitativo e lavorativo o anche solo di vacanza “aumentata” (per periodi di tre, cinque o dieci anni).
Un’innovazione spettacolare, sotto il profilo del richiamo turistico, sarebbe l’introduzione, con frequenza annuale, della “fluitazione” dei tronchi d’albero lungo l’asta del fiume Oglio (per lo meno nei tratti non interrotti da sbarramenti e dighe). 

D) Turismo:
La Valle Camonica deve riuscire a proporsi come una delle mete alternative alla crisi e alla probabile fine del cosiddetto “overturism” (Valentina Doorly, sulla scorta dei dati concernenti il crollo delle prenotazioni internazionali, parla addirittura di un “annichilimento” del settore nel suo complesso).
La carta vincente è nel mazzo da tempo e attende di essere giocata con sagacia e abilità.
Sul campo sono operative molte agenzie di promozione, a cominciare dal Distretto Culturale, per arrivare ai “parchi” delle incisioni rupestri, alle Pro Loco, ai parchi termali naturali, al Museo Archeologico Nazionale di Cividate Camuno, al Sito UNESCO di Valle Camonica, all’associazione Lontàno Verde, al redivivo GAL, ai percorsi di immersione nell’arte religiosa e nell’etnologia, alla miriade di B&B e di agriturismi, ristoranti e alberghi, alla sequela di feste e fiere paesane che pullulano in ogni più sperduto angolo della nostra valle. Stiamo sicuramente dimenticandone alcune, ma è certo che queste agenzie siano le meglio titolate a fornire indicazione e ad avanzare proposte. Urge però un centro direzionale unico, capace di fare sintesi sia in termini di spesa che di programmazione.
Per parte nostra ribadiamo l’opzione per un turismo “dolce”, non invasivo e meno “usa e getta”, incentrato sulla seconda costola dell’ospitalità, quella minuta e dispersa (non dispersiva, però), nei B&B e negli agriturismi e pure nella diffusione della modalità “albergo diffuso”, meglio adattabili alle esigenze “infection free”.
Un ruolo di rilievo potranno giocarlo Legambiente, con i suoi campi estivi internazionali e il Parco dell’Adamello, con le sperimentazioni già ricordate, ma pure le agenzie di accoglienza dei profughi dei migranti e (K-Pax, Caritas, ecc.), ai quali offrire l’occasione di un lavoro che consenta di integrarsi nella comunità, un’opportunità di recupero abitativo anche per i nostri centri storici, sempre meno vissuti e popolati.

E) Industria:
Il “nostro” patrimonio industriale è stato ed è spesso anche fonte di ricadute pregiudizievoli sul territorio e sulla salute delle persone. Oggigiorno, esse sono meno impattanti di un tempo, anche grazie all’accresciuta sensibilità della popolazione (associazioni, comitati) e delle istituzioni (amministrazioni comunali, ARPA, ATS, ecc.). Un esempio persistente del conflitto tra le esigenze dell’industria e quelle del territorio e quelle del territorio è rappresentato dal fenomeno del progressivo “spegnimento” della portata idrica dei nostri fiumi e torrenti, a causa delle sempre più frequenti e massive captazioni di acqua (“drogate” dagli incentivi “verdi”) per la produzione di energia idroelettrica. Un capitolo a parte meritano il ritiro e lo scioglimento dei nostri ghiacciai e i cambiamenti climatici su scala mondiale, ma ai quali pure noi contribuiamo, al cui contenimento potremmo impegnarci, optando per trasporti meno inquinanti o per eliminare gli additivi chimici utilizzati per “stabilizzare” la neve artificiale sui demani sciabili, altrimenti destinata allo scioglimento precoce.
Il sistema idroelettrico tradizionale rappresenta un patrimonio ormai “storico” della valle, appartenendo alla storia delle nostre comunità, benché gli elettrodotti continuino a deturpare i fianchi e il bacino di questa feconda terra. Un discorso particolare meriterebbero i “sovracanoni” idroelettrici che la Regione Lombardia continua a negarci nella loro integralità come risorsa economica disponibile in conto gestione, a differenza di ciò che ha fatto nei riguardi della Valtellina.
Ben diverso è il discorso per le decine e decine di “centraline” idroelettriche, per le quali occorrerà esigere un’immediata e assoluta moratoria, orientando gli investimenti del settore sul fotovoltaico, il geotermico e l’eolico, ove possibile.
Finora, però, il consistente patrimonio industriale camuno è stato poco o punto “sfruttato” come fattore di richiamo turistico e abitativo e oggi, stante il distanziamento epidemiologico che sta diffondendo la modalità del lavoro a distanza (“smart working”), anche come fattore di preservazione della residenzialità e delle attività dell’indotto nei paesi di gronda, più penalizzati dal modello fondovallivo.
Non possiamo infatti dimenticare che nelle “nostre” fabbriche trovano lavoro tantissimi giovani e meno giovani e sono presenti competenze di alto livello, spendibili per preservare un avanzato patrimonio di conoscenze. Alcuni illuminati imprenditori (pochi) si sono già spinti in avanti sulla strada dell’evoluzione delle loro imprese in “società di benefit”, in cui, alla certificazione di qualità delle produzioni vanno ad aggiungersi protocolli e provvidenze concrete riguardo al benessere e al coinvolgimento dei lavoratori nel governo dei tempi e dei modi della produzione.
Avremo bisogno di queste competenze ed evitare che sfuggano verso altri lidi, più remunerativi, ma, sul lungo periodo, più esposti ai rischi dell’inurbamento incessante. Per farlo sarà necessario spingere le aziende, già operative sui mercati nazionali e globali (per effetto delle catene produttive, o per gli approvvigionamenti o per la clientela) a farsi volano della promozione del loro stesso territorio, istituendo pacchetti di ospitalità e/o di scambio turistico o residenziale per dipendenti e loro familiari, anche con stages in azienda e/o presso gli istituti professionali (si pensi agli Istituti alberghieri di Darfo e Ponte di Legno o al Liceo artistico di Lovere. Potrà giovare anche l’inserimento di tali azioni tra gli scopi sociali statutari delle società e delle associazioni private, con impegno di rendicontazione periodica e bilancio costi-benefici.
Una spinta decisiva in tale direzione dovrà venire dalla diffusione della “banda larga” in ogni Comune e frazione della valle e dalla non valutazione pregiudizialmente negativa dei benefici/rischi connessi all’introduzione della tecnologia “5G”, destinata altrimenti a incrementare il “digital devide” tra aree che ne saranno coperte e aree no.

F) I Servizi:
AST da riterritorializzare, medici di base da riconfigurare, scuole, uffici postali, RSA, ecc.
(da sviluppare)

G) La pubblica amministrazione:
Senza Enti pubblici efficienti, ben poco di quanto sopra sarebbe e sarà raggiungibile. L’usura del ruolo della Comunità Montana è in atto da anni ed è sotto gli occhi di tutti; pure le Unioni di Comuni, troppo spesso in modalità “transformer”, evidenziano l’urgente necessità di un salto di qualità nella gestione dei servizi (multiutility del metano, energia, acqua, rifiuti) e nell’impiego efficace dei sovracanoni idroelettrici nonché dei fondi ODI per la promozione complessiva del territorio.
Torna così ad affacciarsi la sfasatura tra comunanza delle problematiche e frastagliamento dei centri decisionali, la qual cosa riattualizza l’idea della Città della Valle Camonica, come Comune unico, elettivo, Ente esponenziale di un territorio di quasi centomila abitanti, secondo “sole” del firmamento provinciale, quindi autorevole e “pesante”, dotato di risorse e dei politici e amministratori al passo coi tempi.
Non serve scomodare la storia per ricordare ciò che di positivo rappresentò per le valli la legge istitutiva della comunità montane, voluta da politici lungimiranti del calibro del senatore Giacomo Mazzoli. Oggi serve uno scatto in più, ma non dovremmo attendere che sia lo Stato centrale a imporcelo (chiudendo progressivamente o di colpo, con una nuova “spending review”, ma assumendolo in prima persona come progetto di una comunità che sa guardare al futuro e a alla vita delle generazioni che verranno.

Proposta di Pier Luigi Milani