Dall'ultimo banco

Titolo:
Ragazzo italiano
Autore: Gian Arturo Ferrari
Editore: Feltrinelli (2020)

Anni ’50: l’Italia si risveglia dal torpore della guerra, le saracinesche si alzano, le macchine sfrecciano e le persone diventano dei fornai che mettono le mani in pasta per dare vita ad un Mondo nuovo.
Per Ninni, però, non c’è niente di nuovo, perché lui prima non c’era. Lui che la guerra non l’ha vista se non negli occhi degli altri mentre gli raccontavano di quei tempi difficili, la percepisce lo stesso, come se delle particelle fossero rimaste intrappolate tra gli atomi di azoto e ossigeno. La guerra ha lasciato dei pranzi poveri, di cui spesso le madri si privano per darli ai figli, dei vestiti troppo larghi o troppo stretti, passati da un cugino all’altro. Non basta una fine, una ritirata degli invasori, non ci si libera così in fretta della guerra, lo sanno bene i genitori di Ninni, che arrancano per arrivare alla fine del mese. 

Pian piano le cose cambiano: Ninni lascia Zanegrate per trasferirsi in una Milano fiorente, dove il pomeriggio si fanno giri in tram e si acquistano frullatori. La città è un’esplosione di vita, di clacson e di opportunità. Ninni vorrebbe scoprire e conoscere sempre di più quella Milano che ti fa credere che lì tutto sia possibile.
A Milano, Ninni va a scuola. Deve restringersi per stare in quell’istituzione che insegna la libertà relegando all’ultimo banco i figli degli operai e mettendo in prima fila i cognomi degli industriali. Ti fanno scrivere cinquanta volte che siamo tutti uguali davanti alla legge, ma il primo giorno di scuola ti domandano che mestiere fa il tuo papà. Ninni è costretto a guardare da lontano la maestra, con la testa appoggiata sul banco si chiede se il suo destino sia l’ultima fila, se la sua vita sarebbe stata quella di suo padre. 

L’amore della nonna e i libri lo salvano, facendogli capire che nulla è già stato scritto e che il nostro posto nel mondo è quello che ci ritagliamo quando la società pretende di dirci chi dobbiamo essere.
Ninni cresce sotto l’occhio fiducioso della nonna che lo fa studiare anche in estate e sotto lo sguardo burbero e un po’ distante del padre. Un padre che quando sente il figlio balbettare cerca la garanzia nei cassetti, “soddisfatti o rimborsati” dicono le pubblicità delle aspirapolveri e lui si chiede se non possa riportarlo indietro per sostituirlo con uno non difettoso.
Guardando con insofferenza la difficoltà del ragazzo, non si accorge del suo potenziale. Lo farà un suo professore del liceo, perché la scuola è anche fortuna: se chi hai di fronte vede una scintilla particolare in te, allora potresti imparare a volare, tra un’espressione algebrica e un’analisi grammaticale. 

Ninni scende in piazza insieme agli altri giovani che negli anni ’60 reclamavano il proprio posto nel mondo. È tutto nelle loro mani, nelle mani di quei figli del dopoguerra che non vogliono replicare gli errori dei padri. Devono alzare la voce, perché anche se non sanno ancora chi siano, sanno che per esistere devi prima di tutto avere il coraggio di alzare la mano e far sentire al mondo la tua presenza.
Ninni capisce che deve lottare per la propria identità, a denti stretti e testa alta. Vuole cambiare il mondo, e quale modo migliore per farlo se non diventando un insegnante di lettere? Fermare il tempo e trasformare l’aula nel Palazzo d’Inverno, portare l’immensità in classe, in volumi rilegati dalle pagine ingiallite. E poco importa di chi sei figlio, se balbetti o se mentre leggi le lettere si confondono in una danza che ti porta con sé, facendoti correre sulle consonanti appuntite e scivolare sulle vocali rotonde, importa solo che tu sei lì, in quel palazzo in cui impari che puoi essere tutto ciò che vuoi. 

Il libro di Ferrari non è solo un romanzo sulla formazione di Ninni, è una fotografia dell’Italia e della scuola italiana, rimasta la stessa per troppi anni e improvvisamente diventata digitale. Considerata spesso un luogo di giudizi, di alunni da ultimo banco e altri da prima fila, di voti incollati in fronte, Ferrari ci fa riflettere su come la differenza la faccia non tanto il giudicare l’alunno quanto il credere in lui.
In fondo, come si chiedeva Thomas Hardy, “chi può dire a un uomo cosa avverrà di lui sotto il sole?”.

Maria Ducoli