Manlio Milani a Cevo: quando di notte vuoi arare...

La commemorazione dell’incendio di Cevo da parte dei fascisti (non “nazifascisti”, come capita ancora di leggere su qualche comunicato) del 3 luglio 1944 viene celebrata come sempre nella domenica successiva: quest’anno, quindi, domenica 5 luglio. Senza corteo per le vie del paese, ma solo con deposizione di corona e allocuzione pubblica presso il monumento alla Resistenza ai margini della “pineta”, in ossequio alle vigenti normative anti-covid.

Breve intervento del sindaco, Silvio Citroni, che apre con un ringraziamento ai partecipanti: Sindaci e cittadinanza della Valsaviore; sindacato camuno e bresciano (che da anni aderisce con una significativa partecipazione); Museo della Resistenza e Anpi di Valsaviore; Fiamme Verdi, Anei di Valle Camonica; Alpini, Banda musicale e Gruppo volontari Protezione Civile di Cevo…

Una citazione particolare ad una delle più giovani partigiane d’Italia, Rosi Romelli, ed al protagonista della “canzone di Cevo”, Marcellino… Un pensiero ad alcuni protagonisti scomparsi in questi ultimi mesi (Carlo Elio Simoncini, animatore dell'associazione ex internati; Francesco Trotti, storica fiamma verde della battaglia del Mortirolo; Franco Tentoni, “medico”, in quanto studente di medicina, della 54^ Brigata Garibaldi; Virginio Boldini, comandante di distaccamento e vice comandante di brigata che ci ha lasciato il giorno di Pasqua…) e, quindi, la presentazione dell’oratore ufficiale: Manlio Milani, che non ha alcun bisogno di ulteriore presentazione.



«Il tempo della memoria – esordisce Milani – è scandito da perdite ma anche da ritrovamenti che segnano il proprio tempo presente. Un tempo in cui la nostra vita si compie senza un destino che conosciamo, ma che si esprime nei propri giorni: è quindi vita che ci richiede di conoscere la realtà nella quale viviamo. Soprattutto a fronte di eventi che coinvolgono ognuno di noi come persone e come cittadini. Eventi che c’invitano ad operare scelte se non si vuole subire passivamente quanto accade attorno a noi.
Fu così, 76 anni fa, per i cittadini di Cevo e della Valsaviore, che seppero scegliere e riscattare la propria storia, la propria dignità, ribellandosi a un regime disumano. Una ribellione che aveva radici nella sua storia solidale, mai abbandonata nonostante le difficoltà, i costi umani pagati dalla comunità. Molti in quel ventennio verranno arrestati, altri uccisi, altri ancora costretti ad emigrare.
All’8 settembre del 1943 e alla caduta di Mussolini, Cevo non vi arrivò impreparata. Quello spirito di riscatto, condotto in forme clandestine trovò l’opportunità di saldarsi in continuità con quel passato.
Ed è bene ricordare che, nonostante i rischi che gli abitanti correvano, i fuggiaschi e gli sbandati, che non erano solo italiani, qui trovarono non solo accoglienza, ma anche il sostegno e la copertura riservata ai partigiani per poi contribuire a costruire dal basso, quel movimento che, pur nella diversità di culture, di prospettiva, si sentiva unito dal comune impegno di liberare il Paese dall’oppressione nazifascista.
[…]
Quei giovani, quelle donne, operarono la loro scelta consapevoli di mettere in gioco la propria vita. Scelsero di partecipare a quella forma di lotta che, stante la ferocia dell’avversario, non concedeva altre possibilità: o con noi o contro di noi, era il motto che guidava il fascismo e i fascisti».

Fascismo, continua Milani, connotato dal rifiuto della società pluralistica, in nome di una verità unica e assoluta e dal rifiuto dell’altro: «Ieri gli ebrei, ai quali, oggi, si aggiungono coloro che vengono catalogati come “stranieri o invasori o diversi”…».
Il rifiuto, quindi, di «quella che Aldo Moro chiamava “la democrazia dal volto umano” che è tale perché colloca al centro il valore della persona umana portatrice di diritti, di bisogni sociali, ma che richiede a ognuno responsabilità e quel senso del dovere che sa cogliere e dare priorità all’interesse comune. Una centralità della persona che troverà sintesi nella carta Costituzionale che sancirà quei valori originati da quell’esperienza di lotta, da quei sacrifici».

Fu allora inevitabile la risposta fascista alla lotta di liberazione condotta dai partigiani con l’appoggio solidale della popolazione, ovvero, «lo scatenamento della violenza per distruggere quella speranza di libertà e quei legami solidali. Il ricatto della paura messo in atto con quella violenza che si accompagnava all’orrore, uccidendo persone o sfregiandone il corpo. Fu così col giovane pastore Giovanni Scolari legato a una sedia, fucilato e il suo corpo esposto sotto la pioggia. Fu così con il corpo di Luigi Monella che venne distrutto dando fuoco alla bara perché nessuna traccia rimanesse di quella vita. E come non ricordare la violenza inumana della banda Marta? Basta richiamare, fra i tanti l’eccidio, consumato in località Musna dove viene uccisa l’intera famiglia Monella. E tutto ciò per “dare ammonimento”. Ma questo non bastò a soddisfare la ferocia di quei fascisti.
[…]
Nessuno dimenticò quell’esperienza, anzi: essa si fece guida soprattutto nei momenti in cui, nel Paese, i valori resistenziali venivano messi i discussione dalla violenza eversiva e terroristica. In tal senso, la risposta data dai bresciani, anche con la partecipazione dei cittadini di Cevo, alla strage di Piazza Loggia e lì a dimostrarlo e permettetemi di cogliere l’occasione per dirvi grazie della vostra solidarietà».

Ed infine un ritorno al presente: «Ma come e dove ritroviamo oggi quei valori? Quel tempo può apparirci lontano e molti pensano che quell’esperienza vada relegata dentro la memoria di una stagione terribile ma passata. Io credo invece che oggi sia necessario più che mai riscoprirla, trarne insegnamento sul come affrontare il nostro presente. Se sappiamo riportare alla nostra attenzione di oggi quei sacrifici, quelle speranze di futuro, la loro vita, le loro scelte le ritroveremo come un dono e una strada da percorrere per affrontare il momento difficile che stiamo affrontando. Ne abbiamo avuto una straordinaria prova, ce l'hanno fornita gli addetti alla sanità, le varie associazione di volontariato e le forze dell’ordine nell’affrontare la terribile pandemia tuttora in corso. Se sapremo alzare lo sguardo su tutto ciò, sulle sofferenze e perdite subite, senza ignorare gli errori commessi e sapendo analizzare quanto non ha funzionato. La democrazia si rafforza con la verità dei fatti. E certamente, se sapremo affrontare le disuguaglianze che si sono prodotte sapendo alzare lo sguardo sugli ultimi e sulle comuni necessità, lì ritroveremo i nostri caduti e li sentiremo al nostro fianco nel coinvolgere in particolare le nuove generazioni e dare loro fiducia nel futuro».

Dulcis in fundo: «Dice un antico proverbio contadino che “Quando di notte vuoi arare, per andare diritto guarda le stelle”. Dove troviamo le nostre stelle? Le troviamo nella nostra Costituzione che è nata nelle valli, nelle montagne in ogni luogo dove si esprimeva la volontà di riscatto dei cittadini, ed essa è lì a indicarci la rotta per ricostruire insieme questo nostro Paese». 

Tullio Clementi

Fotografie di Paolo Dorigatti