Il Femminismo pratico delle donne camune


(da Graffiti, n. 260, giugno 2016)


Il documento: [repertorio dei fascicoli dell'archivio della Sezione camuna di Breno dell'Unione femminile nazionale], 1910-1914 circa.


Il fatto: il 29 maggio 2016, una ragazza viene uccisa e bruciata in una macchina a Roma. Il suo assassino è l'ex fidanzato. Il femminicidio, parola che esiste in lingua italiana dal 2001, denota "tutte [...] quelle situazioni in cui la morte di donne, lesbiche, trans e bambine rappresenta l’esito o la conseguenza di altre forme di violenza o discriminazione di genere" (fonte: Treccani). Il femminicidio come fatto esiste da molto più tempo, così come la discriminazione basata sul genere. Gli anticorpi a questi mali sono noti: democrazia (che è rispetto delle minoranze e delle differenze), tolleranza e, in particolare, femminismo.
La storia del femminismo in Valle Camonica deve essere, per quanto ne so, ancora scritta: il documento di cui parleremo ne racconta una parte.
E' un semplice quaderno, con copertina rigida di colore nero, fogli rigati, scritto a penna: le autrici hanno riassunto brevemente le vicende di più di cinquanta assistite e assistiti per il periodo 1911-1914, redigendo per ciascuno un breve dossier. Ognuno di questi è numerato, e si collega ad un fascicolo di documentazione che era conservato nell'archivio della sezione; la maggior parte di questi sono ancora oggi esistenti, custoditi nel fondo della Società operaia femminile di mutuo soccorso di Breno.
Veniamo così a conoscere molteplici storie, di miseria, disabilità, violenza e discriminazione.
La storia di Caterina B., "separata dal marito per continui mali trattamenti, basta il dire che la ridusse in fin di vita pestandole la testa con un martello... vi sono tre figli che stanno con la madre che li mantiene lavorando a ore per varie famiglie".
Quella di Lidia S., la cui madre "teneva una casa di prostituzione in unione al marito G. G. e la bambina di 13 anni viveva in quell'ambiente": per questo l'Unione nazionale femminile cerca di collocarla "presso lo zio della madre", il parroco di Pescarzo, "ma né lui né il fratello vogliono curarsi della disgraziata bambina. Per fortuna l'unione femminile se ne curò e poté collocarla".
Sono due casi presi da un campionario molto più vasto, ci danno una misura di come la società che ci ha preceduti non abbia soltanto aspetti lodevoli (di cui pure parlo volentieri), ma anche ombre.
La storia di queste vite distrutte o sbandate è anche la storia di chi se ne prese cura e se ne fece carico: un gruppo di donne raccolte attorno a un gruppo di donne, tra cui si distingue Laura Rusconi, maestra, che si impegnò in moltissime attività educative, di beneficienza e previdenziali.
Queste donne, nell'agosto 1910, su suggerimento di Beatrice Cantalamessa, membro della sezione di Torino dell’Unione femminile nazionale, decise di diffondere un proclama tra le donne brenesi, che iniziava così: "L'unione fa la forza. Così riunendo il bene che ciascuna fa separatamente, come pure le cognizioni e le idee, è certo che si potrà essere più utili al nostro paese ed alla nostra valle". Era il manifesto di fondazione della sezione camuna.
I suoi scopi erano elencati già in questo primo atto: "proteggere i minorenni. Istruire le donne nei doveri verso i figli e la scuola [e non verso i mariti! nda] ed insegnare loro le prime nozioni elementari d'igiene ed economia domestica. Cercar di promuovere con conferenze l'istruzione ed educazione della donna". Un programma non certo radicale, ma rivoluzionario nella sua praticità: le iscritte, oltre alle opere di beneficenza, organizzavano corsi di economia domestica o professionali per le donne e facevano pressione sui politici locali e nazionali per l'approvazione di leggi a favore delle donne (per esempio per il suffragio femminile) e dei minori.
L’emancipazione che queste donne cercavano si realizzava già nella loro azione: un gruppo di donne non passivo, ma protagonista di tanti piccoli cambiamenti.
L’attività dell’ente si riduce negli anni del fascismo, esperienza che in Valle Camonica ha contribuito a spegnere sotto una grigia dittatura numerose esperienze di vivacità culturale e civile. Con la fine della guerra, non si ha più traccia di questo circolo. Il cammino che loro hanno tracciato, pur con incertezze e difficoltà, è lì da percorrere, ma l’attività e l’esperienza di queste donne ci deve rendere orgogliosi, a mio parere, di essere Camuni.