Al cinema: Hammamet

I lettori di Graffiti hanno imparato da tempo ad apprezzare Stefano Malosso: con la sua rubrica "Fuoco Fatuo" ci regala da anni la sua prospettiva - mai banale - sui più interessanti eventi culturali, incontri, opere artistiche che animano la Valle Camonica. Attraverso questo blog, da oggi, una volta al mese, Stefano ci accompagnerà invece al cinema: il suo parere su una delle pellicole in sala. Questa nuova rubrica debutta evidentemente in un momento poco felice - per usare un eufemismo - per gli amanti del cinema, e non solo. Leggete quindi questa prima recensione come un auspicio... un consiglio sperando che presto si possa tornare tutti a riempire le sale.
“Bettino, vuoi pure queste?” ringhiava la folla sventolando le banconote da mille lire, in un delirio simil-calciofilo, la sera del 30 aprile 1993 all’uscita dell’Hotel Raphael. Era la fine della Prima Repubblica, se mai davvero è finita, e il salto nel buio che porterà alla giacca marrone di Achille Occhetto, alla canotta di Umberto Bossi e al primo governo Berlusconi.
Quel salto nel buio è la materia narrativa che serve a Gianni Amelio (“Le chiavi di casa”, “Lamerica”) per firmare il suo ritorno in sala con il film “Hammamet” (Italia, 2020), biografia non documentaristica di Bettino Craxi e del suo “esilio volontario” in Tunisia dopo la condanna per corruzione e finanziamento illecito con sentenza passata in giudicato. Accanto a lui, nei giorni della latitanza che termineranno con la sua morte, ci sono la moglie e la figlia, mentre il figlio Bobo, amato e odiato, combatte da par suo con la chitarra in mano.
Amelio, classe 1945, è fine osservatore dei cambiamenti politici e sociali del Paese sin dall’esordio di “Colpire al cuore” (1983), nel quale in una livida Bergamo un ragazzo denunciava il padre sospettandone l’implicazione con le BR. Ora, per raccontare le sorti del decaduto leader del PSI, sceglie di mischiare le carte, cambiando nomi e coordinate (neppure Craxi sarà mai chiamato col suo nome) in un gioco che rimanda facilmente alle figure di Fanfani, Di Pietro e Berlusconi, pedine nella scacchiera di quegli anni. Al centro della sceneggiatura, scritta a quattro mani con Alberto Taraglio, non è il processo, ma piuttosto la figura stessa di Craxi: farabutto senza scrupoli o raffinato statista?
Nei giorni del dibattito, a vent’anni dalla sua morte, la discussione è più che mai accesa. Ma Amelio non ci sta ad accomodarsi al tavolo di chi difende o accusa il leader socialista; la sua cinepresa indaga piuttosto le pieghe del suo viso, amplificate nella sontuosa interpretazione di Pierfrancesco Favino, tanto simile da dare spesso l’impressione di essere al cospetto del reale Bettino. Che da par suo sbotta, sbuffa e soprattutto mente: menzogne alla figlia, menzogne al giovane ragazzo che si intrufola nella sua villa con un recondito desiderio di vendetta, menzogne persino a se stesso, mentre registra il suo memoir da consegnare ai posteri. E chissà che mal di pancia, se Bettino avesse saputo che quei “posteri” sarebbero stati i parlamentari dell’incombente Terza Repubblica, forse troppo impegnati a digitare un tweet per ripensare alla Storia, chiusi dentro una sala cinematografica. 
Stefano Malosso