Giornaliste senza portafoglio: il gender gap nelle redazioni

La disparità di genere non risparmia le redazioni. Tra scrivanie colme di giornali, sale di montaggio, microfoni e telecamere, l’essere uomo o donna cambia le carte in gioco. Uno studio dell’ONU mostra come alcuni Stati considerati tra i più virtuosi in tema di pari opportunità, ricoprano invece le ultime posizioni se si considera il settore giornalistico. Il Giappone è quello messo peggio. In un mondo che si avvia verso un futuro sempre più incerto, il ruolo dell’informazione si fa sempre più centrale. E con questa anche la necessità di colmare il gender gap.
Le donne sono entrate nel giornalismo un secolo dopo la sua nascita, nel 1800, relegate ai magazine rosa e alla cronaca leggera. D’altronde, con l’emotività che si portano appresso cosa avrebbero potuto fare? Inutile dire che gli anni che sono seguiti sono stati tortuosi e le conquiste spesso molto sofferte. Quindi, il successo era doppio. Nel 2001, l’International Women’s Media riscontrava che le posizioni di comando nelle redazioni erano occupate solo per il 30% da donne e che solo nel 16% dei casi, poi, le donne erano presenti come protagoniste della notizia e solitamente con una rappresentazione stereotipata della maternità. Questi dati ci vengono confermati da Paola Delle Molle, presidente del Gruppo Pari Opportunità del Cnog.
«Nonostante siano stati fatti numerosi passi in avanti, resta evidente nella nostra professione una scarsa presenza numerica femminile. Le difficoltà sono ai vertici, basti pensare che Il Manifesto e La Nazione sono gli unici giornali diretti da donne. E poi resta il problema della disparità salariale, una vecchia storia. Ci sono gruppi di giornaliste e giornalisti che si stanno impegnando su questo fronte, il mio auspicio è che si possa lavorare per colmare il gap».
La scarsa presenza di firme, si ripercuote inevitabilmente sulle rappresentazioni dei generi. Gli stereotipi sono sempre gli ultimi a morire. Non basta, però, rappresentare le donne: è necessario usare il linguaggio giusto. Possibilmente, uno non sessista. Perché poi succedono cose spiacevoli. Quando nel settembre del 2020 dj Franceschino rapì e violentò una donna per tre giorni, per Il Mattino l’uomo in questione aveva solo un “vizietto”.
«I giornalisti devono essere formati quando parlano di questi temi. Violenza, mobbing, stupro non possono essere descritti con un linguaggio non attento» continua la giornalista Dalle Molle.
Dei passi avanti ci sono: dal 1 gennaio del 2021 nel Testo Unico dei doveri del giornalista è entrato in vigore un nuovo articolo, il 5 bis. Questo impone al giornalista di evitare stereotipi di genere e immagini lesive della dignità della persona. «Si tratta di un gesto di civiltà, di rispetto della verità e della persona in un’epoca che vede, purtroppo, il perpetuarsi inaccettabile della violenza». Il giornalista deve inoltre attenersi ad un linguaggio rispettoso, corretto e consapevole, oltre che all’essenzialità della notizia. Parla come mangi, ma scrivi come si deve, insomma.

Però attenzione: scrivere - soprattutto di certi temi sensibili - ti porta ad essere un bersaglio, soprattutto sulla rete, un territorio di tutti e nessuno in cui l’educazione sparisce come le tasse alla frontiera. «Ci sono ancora troppe poche tutele, soprattutto per i giornalisti freelance. Le minacce diventano concrete, soprattutto a carico delle donne e sono aumentate in modo significativo quelle online. Secondo l’annuale Word Press Freedom Index di Report Senza Frontiere, siamo al 41° posto per la libertà di stampa, dopo di noi c’è solo la Russia». Non è uno scenario troppo positivo, considerando che stiamo parlando del paese di Putin, in cui le redazioni che non sono in linea con la sua propaganda si dissolvono nell’aria, nell’aria sottile per dirla alla Shakespeare.

La Commissione Pari Opportunità della Federazione Nazionale Stampa Italiana ha di recente denunciato «con grande preoccupazione» il prezzo altissimo che le colleghe stanno pagando in un mercato del lavoro impoverito dagli effetti della pandemia. In Italia le giornaliste sono sempre meno, dentro e fuori le redazioni. Il gender gap persiste, i minori avanzamenti di carriera pure. Bello il giornalismo, un po’ meno l’essere giornaliste, a quanto pare.

Maria Ducoli