Privilegio maschile e cultura dello stupro


Ultimamente ho un problemino di rabbia.
Il tour de force psicologico di oltre un anno di pandemia ha reso le mie reazioni agli eventi del reale lievemente sopra le righe dal punto di vista fisico ed emotivo e il numero di liti furiose con il televisore all'ora di cena, con urla provenienti anche dal bagno, ha visto un'impennata nelle ultime settimane. Per questo motivo, in attesa di riacquistare qualche grammo di diplomazia – non la mia dote più spiccata, in ogni caso - ho iniziato a prendere alcuni accorgimenti prudenziali di contenimento, tra cui evitare tassativamente contatti umani in presenza (per quanto già ridotti all’osso) e contare sempre fino a 127.000 prima di esprimere ciò che mi passa per la testa, nella forma grezza in cui si materializza.

Così, sono serviti solo 15 giorni per far defluire la bile che mi colava dal naso e il vomito che mi riempiva la bocca dopo la diffusione del "video di Grillo", dopodiché la nomea di femminista radicale che mi sono guadagnata negli anni, a colpi di comizi e discussioni, mi ha presentato il conto: qui è là gli amici mi riportano sull’argomento, chiedendomi più o meno esplicitamente una riflessione in proposito.
Quindi… va bene. Di seguito il mio pensiero, pazientemente ripulito dagli schizzi di sangue ed epurato dalle fantasie di ultra-violenza.

La piramide della cultura dello stupro
(fonte: www.11thprincipleconsent.org, traduzione dell'autrice)


Per come la vedo io, su questa storia sono accese due gigantesche insegne al neon: PRIVILEGIO MASCHILE e CULTURA DELLO STUPRO.

Privilegio maschile è potersi permettere speculazioni da politologi sui temi del potere partitico e delle ricadute politiche della vicenda ignorando completamente il colossale iceberg della cultura dello stupro sul quale la bandierina di Grillo sta conficcata. Esempio: alcuni giorni dopo l'uscita del video un amico mi chiede un'opinione in merito; io mi astengo, chiedendo a lui, prima, una riflessione; lui mi parla di abuso di potere politico e mediatico, di numero di parlamentari e di pressioni sulla magistratura. En passant, cita la mancanza di prove sulla consensualità della ragazza.
"Tutto qui? Non noti altro?"
"Al momento no."
Interessante, come la maggior parte degli uomini si concentri sulla questione politica, mentre la maggior parte delle donne si sbracci per indicare l'Everest di cultura dello stupro sulla quale gli uomini si riuniscono per dibattere di politologia. Evidentemente, perché la montagna è parte integrante del nostro panorama da così tanto tempo che neanche la si nota più... o almeno, I MASCHI non la notano, forse perché mentre loro se stanno sul cucuzzolo a prendere il sole, le donne stanno di sotto a prendersi i massi che precipitano.
Non hanno mai dovuto preoccuparsi di questi problemi: QUESTO è il privilegio maschile.

Ma che cos'è, questa ennesima diavoleria femminista della "cultura dello stupro"?

--- !ALERT! - SPIEGONE NON RICHIESTO! ---


Innanzitutto, definiamo i termini: CHE COSA È UNO STUPRO?

Lo chiedo perché dai dibattiti seguenti ad ogni singolo caso di cronaca emerge, cristallino, come la risposta a questa domanda appaia ai più oscura e sibillina come l'oracolo delfico, "intellettuali" compresi eh.
Ebbene, la soluzione dell'arcano è: SÌ È SÌ. Tutto ciò che non è chiaramente e liberamente SÌ, è violenza.
Semplice. Essenziale. Inequivocabile.
Solo SÌ è SÌ. Tutto il resto è NO.
Il tracollo dell'universo maschile, mi rendo conto, il contrario di tutto quello che sappiamo e ci è stato insegnato del rapporto tra i sessi.

Ma
è
così.


Ora, ricordate qualche settimana fa, il dibattito social a proposito del cosiddetto "cat-calling"? In quell'occasione, in uno scambio sotto il post di un amico, il mio consueto comizio femminista venne particolarmente bene, tanto che adesso, in un'apoteosi di decadente autoreferenzialità, mi citerò da sola: "Le molestie di strada non hanno nulla a che fare con la sessualità, ma unicamente con il POTERE. Non vi è alcun tentativo di approccio nell’uomo che molesta, che sa benissimo che non caverà un ragno dal buco, ma l'unica e sola intenzione di affermare il proprio potere di fare e dire alla donna quello che gli pare, a prescindere da ciò che lei vuole o non vuole, perché lui può ed è un suo diritto, mentre lei è niente. Ed è questo a far sentire insicura colei che subisce la molestia: l'affermazione su di sé del potere di qualcuno per cui non è altro che un oggetto a disposizione. Un complimento è fatto per generare sensazioni piacevoli, magari anche sperando di ottenere una reazione positiva in cambio. Una molestia è fatta nello spregio dell'effetto che genererà in chi la subisce e, anzi, godrà proprio del disagio e del malessere che genera. L'unico godimento a cui aspira è il compiacimento della propria posizione di potere."
E che cos'è uno stupro se non l'affermazione compiuta del controllo del maschio sul corpo femminile e la sua riduzione a oggetto funzionale? Cos'è uno stupro se non un'affermazione di potere?
Bene, una società nella quale questo rapporto di potere viene ribadito costantemente attraverso la minaccia continua di stupro in tutte le sue forme - pressioni sociali, commenti, molestie, violenze effettive - e attraverso la minimizzazione, normalizzazione e giustificazione di queste dinamiche da parte dell'opinione pubblica, è una cultura solidale allo stupro. Una "cultura dello stupro", appunto, che "condona come 'normale' il terrorismo fisico ed emotivo contro le donne. Nella cultura dello stupro sia gli uomini che le donne assumono che la violenza sessuale è 'un fatto della vita', inevitabile come la morte o le tasse".*

IN SINTESI:
  1.  ridurre a oggetto di fruizione il corpo femminile (linguaggio comune, retorica goliardica corrente, cultura del porno);
  2. stigmatizzare la vita e le scelte sessuali della donna ("troia");
  3. considerare pregiudizialmente non credibile la donna che denuncia ("si è inventa tutto per soldi - perché la donna è per natura puttana");
  4. giustificare, ridimensionare o minimizzare la violenza maschile ("i bravi ragazzi", o  "i coglioni", che poi è la stessa cosa);
  5. colpevolizzare la donna che ha subito violenza (si chiama vittimizzazione secondaria, ossia sottoporla nuovamente ad uno stupro, stavolta collettivo);
  6. scaricare sulla donna la responsabilità di evitare la violenza ("perché è uscita a quell'ora?", "perché si è fidata?", "perché non l'ha lasciato?", "perché non ha gridato/lottato?", "perché non si è fatta ammazzare?");
  7. mettere sotto accusa la sua condotta e processarla pubblicamente, analizzando quanto aveva bevuto, come era vestita, quanto era disponibile, quanto sembrava godere nel video dello stupro condiviso sulle chat, quanto ha impiegato a denunciare (l'immortale "se l'è cercata");

sono tutte espressioni della cultura dello stupro nella quale viviamo immersi fino-agli-occhi, tanto che un personaggio pubblico, leader di un partito che è stato il primo del paese con milionate di voti, può permettersi in tutta scioltezza di attingervi a piene mani e rivomitarne tutto il repertorio su ogni possibile mezzo di comunicazione, come un carro spargiletame, senza che praticamente si muova foglia. Giusto qualche colpo di tosse imbarazzato.



--- FINE SPIEGONE ---

Conclusione?

Forse la maggior parte degli uomini non agisce la violenza
MA
la maggior parte degli uomini - e soprattutto quelli che la violenza NON la agiscono - non si sente toccata dal problema o è di fatto convinta che la questione non li riguardi direttamente. Così facendo non percepiscono il peso specifico della cultura dello stupro nella (loro) quotidianità, finiscono per aderirvi o, quand'anche non vi aderiscano, non la contrastano attivamente, di fatto perpetuandola.
Perché è importante averlo ben chiaro: sono sempre gli indifferenti, i conformi, i silenziosi a fare i danni peggiori, e quando si parla di cultura, di mentalità, di sentire e agire collettivo, o sei parte della soluzione o sei parte del problema.

Costantina Magri

* Pamela Fletcher, Emilie Buchwald, Martha Roth - Transforming a Rape Culture - 1993