Borat, seguito di film cinema (Prime Video)

Uscito sulla piattaforma Amazon Prime Video a poche ore dalle elezioni americane dello scorso novembre, Borat Subsequent Moviefilm (in Italia Borat, seguito di film cinema, per i fan semplicemente Borat 2) ha avuto lo stesso effetto di una bomba lanciata nel negozio dei cristalli. Un’esplosione resa particolarmente dirompente se si considera che i cristalli in questione sono nientedimeno che il Presidente (allora in carica) Donald Trump e i componenti del suo establishment, chiamati in causa nell’ultima pellicola scritta e diretta da Sacha Baron Cohen e, con pari merito, dal suo ormai leggendario personaggio Borat Sagdiyev, un immaginario giornalista kazako maschilista, sessista, razzista, antisemita e chi più ne ha più ne metta. Diventato celebre grazie all’omonimo film del 2006 – nel quale giungeva in America per compiere uno studio sociologico e finiva col rapire in un sacco la diva di Baywatch Pamela Anderson – Borat si ritrova ora alle prese con gli USA del Covid e delle elezioni presidenziali, con la missione di dare in sposa la figlia Tutar a un ricco uomo che la possa rendere felice come Trump ha fatto con la consorte Melania. Per compiere la missione, in un sapiente gioco cinematografico che oltrepassa il racconto di finzione per documentare la realtà della società americana attraverso l’uso di telecamere nascoste tra negazionisti, machisti, suprematisti, influencer fai-da-te e haters di ogni tipo, Borat proporrà la figlia al vicepresidente Mike Pence e, nella scena osé che ha scandalizzato l’America intera, al collaboratore trumpiano Rudolph Giuliani che, inconsapevole di essere ripreso, una volta nella camera d’hotel con la giovane ragazza arriva persino a sfilarsi i pantaloni e a frugarsi organi poco istituzionali. Inutile dire che la scossa tellurica azionata dal film oltrepassi la bontà dei dottori Mercalli e Richter, e che la reazione dei repubblicani sia stata muscolare, con Trump in persona che arriverà a definire Baron Cohen “un impostore e un verme”. Sappiamo chi ha vinto. Al netto di tutto ciò, rimane il valore di un film che sa far ridere a denti stretti, sfidando per quasi due ore il politically correct; da manuale la sequenza nella quale Borat spiega a un padre anti-abortista che ha messo incinta la figlia e che vogliono disfarsi del bambino, o quella in cui Tutar scopre che la vagina non è una bestia carnivora ma anzi può provocare del piacere, e cerca di spiegarlo a un congresso di donne conservatrici. Sfidando il peloso buonismo delle produzioni da piattaforma, la maschera drammaturgica di Borat diventa strumento di lettura e pamphlet satirico, nel suo impietoso ritratto di un’America che sembra aver perso la bussola come il suo manovratore, provocata dall’irriverente kazako che sa fare il verso alle paure dell’uomo-medio, quello che si arma per difendersi dal nemico e che compra l’insetticida per sterminare il misterioso virus. Che a levarsi, nonostante tutto, proprio non ci pensa. 

Stefano Malosso