Diario dalla valle rossa: Ponte di Legno


La piazza di Ponte vuota.
È normale alle 7:30 di mattina, quando ci passo per andare a prendere il pane. La panettiera, indaffarata, prepara i sacchi da distribuire al mattino, in apparenza è il numero di sempre. Lei però mi saluta da sotto la mascherina.
Quello che colpisce è la piazza vuota in pieno giorno, con il sole che splende nel cielo azzurro, come nei filmati che di questi tempi si vedono in rete per promuovere le iniziative di solidarietà in alta valle (qui).
Non è che il paese sia deserto, ma c'è molta poca gente in giro.
Sui social qualcuno se la prende con i rari villeggianti che osano farsi un selfie vicino al comune.
Sembra di essere in pieno ottobre, il paese ancora privo dei turisti che l'inverno o la bella stagione portano nel lembo estremo della Valle.
Poi però guardi le piste: il manto bianco levigato dei gatti delle nevi (attivi fino a pochi giorni fa) riluce nell'aria tersa, ma non c'è nessuno che approfitta dell'ultima neve della stagione.
Ricordo qualche anno fa un sindaco che diceva che senza le piste, senza il turismo, il paese si sarebbe ridotto ad un fantasma, uno dei tanti villaggi semi abbandonati che punteggiano la montagna italiana.
Lo spettro con cui convivono i Dalignesi oggi è questo: cosa succederà dopo la fine dell'epidemia.
Intanto, incurante, la primavera ritorna, fa spuntare i bucaneve nel prato ancora giallo e cantare felici gli uccelli tra le prime gemme dei rami.

Ivan Faiferri